lunedì 24 dicembre 2012

Rock, paper, mirrors.




Un'informazione è un'informazione se la sua presenza contribuisce a ridurre il numero di scelte possibili.
Sembra una cosa scontata, ma non lo è per niente.
Mi è capitato di pensarci quando -in auto- percorrevo la solita strada, su e giù, giù e su come l'asticella di bambù in una fontanella zen. Mi capita sempre, d'altronde, di pensare quando migro: il fatto è che l'unica compagnia che ho in viaggio sono l'Aradio che spara musica poco alla moda e una piccola impronta di un palmo di mano sul parabrezza, che d'inverno fa la sua comparsa stagliandosi sulla condensa come il fantasma di un castello scozzese.
E no, non ho nessuna intenzione di pulire il mio parabrezza, se è quello a cui state pensando.
Piuttosto, torniamo a bomba: un'informazione è eccetera eccetera.
Per rendere tutto più chiaro, potrei dirvi che mentre stavo guidando, con un occhio ai cartelli dell'autovelox e uno al minaccioso SUV che sfanalava alle mie spalle, mentre cercavo di intralciare il più possibile il suo cammino e di farmi sorpassare proprio in prossimità della macchinetta diabolica per far prendere una bella multina al suo inconsapevole conducente, innumerevoli pensieri mi attraversavano il cervello, silenziosi come un corteo della UIL e altrettanto sciocchi e privi di mordente.
Pensavo che sono una merda, e che alla fine sono anche pieno di astio e rancore verso il prossimo.
Pensavo che finalmente è arrivata la Natività di Gesoo Cirpo, così ci si fanno gli auguri e poi non ci si pensa più, ché a me le feste mettono ansia e nostalgia e una certa quale inquietudine.
Pensavo che in effetti, quando l'autunno fa cascare i pensieri dagli alberi, è inutile il rastrello.
E pensavo pure che quest'inverno ha una tonalità strana, è un inverno marrone in basso e color grigio Cupertino là dove ha meno importanza.
Poi il SUV mi ha superato a tutta gargana, l'autovelox ha fatto (forse) il suo dovere e io ho rallentato per godermi la scena.
Tutte queste cose che ho detto, in fin dei conti, non sono proprio informazioni, nel senso stretto del termine. Nessuna di queste cose vi servirà nella vita a ridurre il numero delle vostre scelte possibili.
Di solito è così per il novanta per cento delle cose che si dicono: si parla per parlare, tanto per, senza una vera intenzione. Se ne dicono di cose, in cielo e in terra, caro Orazio... ma la tua filosofia non se ne cura.
Allora vien da pensare che il vero problema della nostra esistenza sia la comunicazione. Le informazioni. Il significato delle cose che diciamo.
Viviamo in un mondo attraversato da migliaia di nozioni, di messaggi, di stimoli. Siamo a bagno in questo minestrone di insulsità e ci cuociamo lentamente come la proverbiale rana nella proverbiale pentola. A fuoco lento, e senza accorgercene.
Non ci curiamo della qualità degli stimoli che recepiamo nè di quelli che noi stessi produciamo, non consideriamo le categorie essenziali, non comprendiamo veramente il significato delle cose più di quanto un masai riesca a comprendere l'utilità di un maglione a collo alto.
Fortuna che avevo ancora diversi chilometri da percorrere per approfondire la questione, così ho deciso di abbassare l'Aradio (CSI - Tabula rasa) e di alzare un pò il piede dall'acceleratore che stavo pestando come se sotto ci fosse la coda di un micino.
Una categoria sono le informazioni, e ne abbiamo parlato.
Poi ci sono le credenze: ovvero. Quello che noi pensiamo di come sia organizzato il mondo, cosa pensino gli altri, il perchè delle loro azioni e così via. Le credenze non sono deduzioni, sarebbe bello. Una deduzione presuppone un ragionamento logico, e non molti sono in grado o hanno voglia di farlo. Oppure, magari non hanno semplicemente abbastanza informazioni. Quindi: procediamo per lo più per credenze. Ci aspettiamo che qualcuno ci telefoni, che la polizia non fermi proprio noi quando siamo sbronzi, che il papa dica scempiaggini sui finocchi e che la commessa del negozio sia cortese. Credenze.
Come quelli che credono che domani rinasca Gesoo.  E' uguale.
Poi ci sono le azioni e le reazioni. Atteggiamenti, per lo più. O omissioni. Un'azione potrebbe essere sferrare un pugno in faccia a chi ci sta -a torto o meno- sul gargarozzo. La reazione potrebbe essere che il gaglioffo in questione schiva magistralmente e ci colpisce sui denti. Oppure un'azione potrebbe essere che ci dimentichiamo di un appuntamento, e la reazione potrebbe essere che la persona che si stanca di aspettarci ci telefona per sapere dove diavolone siamo finiti. Oppure ancora che si sfava e se ne va. O, se va particolarmente male, che ci pianta in asso e fine. Sono tutte reazioni possibili, e in una certa misura pure adeguate. Quando la reazione non è adeguata si chiama la neuro, di solito funziona così, ma non sempre.
Poi ci sono le sensazioni, che sono quelle cose che difficilmente riusciamo a comunicare. La frustrazione, il dolore, la rabbia, la malinconia... Tutte queste cose non sono altro che fluttuazioni di alcuni neurotrasmettitori nel brodo che culla il nostro cervello. Serotonina, adrenalina, GABA, dopamina e compagnia cantante. Purtroppo siamo talmente stupidi, a volte, da attribuire a questi stati di alterazione una componente quasi magica e mistica, trascendentale, per cui non solo non riusciamo a darci una spiegazione effettiva delle nostre sensazioni e non riusciamo ad affrontarle, ma spesso non riusciamo neppure a descriverle.
Ma voglio per una volta esservi di aiuto, dato che è Natale e io divento di conseguenza più buono e più biondo. Per affrontare le sensazioni spiacevoli basta aspettare che la molecola in questione, responsabile dello stato di agitazione, si disgreghi naturalmente da sola. Quindi: sedetevi, prendete un buon libro, e aspettate che passi.
Per comunicare, invece, basta aprire la bocca e pronunciare sinistre frasi del tipo: "Mi sento in collera" oppure "mi sento agitato". Non, badate bene, "Sono arrabbiato". Non confondete la sensazione con il principio di identità: voi non siete le cose che avete, non siete il vostro lavoro o il vostro ocnto in banca e non siete neppure il vostro stato d'animo. Le fluttuazioni emotive non hanno la minima importanza, perchè sono transitorie, labili e scostanti. Concentratevi solo su quelle, e potrete dire addio alla vostra sanità mentale.
Oltre a questo ci sono altre cose, come le pulsioni, gli istinti, le decisioni... potremmo passare la serata a categorizzare, ma voglio venire al punto prima di annoiarvi troppo e prima di sembrare uno di quegli squinternati che aspettavano l'arrivo delle astronavi dei Maya con un cappello di stagnola in testa e il sorriso triste del macaco sul volto.
Cerchiamo invece di restringere il campo.
Un po' come il nido distoglie lo sguardo dal ramo.
Il punto è il significato.
In ogni caso, quando parliamo, come diceva il buon Bruner, facciamo una narrazione.
Sia che raccontiamo della nostra giornata, sia che teniamo una lezione al MIT, sia che stiamo litigando col partner oppure vezzeggiando un cane, sempre di narrazione si tratta, e una narrazione è -in ultima analisi- una storia, un racconto.
Questo passiamo la vita a fare, tutto qui. Passiamo la vita a raccontarci storie.
E questo è quello che molti chiamano "Il senso della vita", anche se in senso della vita è tendenzialmente che finchè si respira va tutto bene, e che quando le cose si complicano si arriva ai cipressi, ma tanto a quel punto la cosa non ci riguarda già più.
In definitiva: siamo una sorta di suppporto attraverso il quale le informazioni si perpetuano.
Siamo il mezzo di riproduzione dei memi, di tutti quegli input che passano da millenni da un individuo all'altro, e accrescono il bagaglio culturale della specie. Un po' come i neuroni fanno con le scariche elettriche. Ecco, siamo una rete di server connessi l'un con l'altro, che si scambiano storie. Niente di più.
Ecco.
Ecco perchè è importante saper comunicare. Perchè è importante sapere cosa si dice e cosa si ascolta. Ecco perchè è importante capirsi, e non è una cosa da poco, anzi, se trovate qualcuno che vi capisce davvero avete trovato -fortunelli- il bene più prezioso che esista.
Un canale di narrazione efficace, veloce, senza fraintendimenti.
Perchè sono i fraintendimenti che ci uccidono un po', dentro.
E allora ripensate spesso al significato delle cose, al significato stesso della parola "significato". Cosa vuol dire quello che dico? E' pertinente, adeguato, comprensibile? Sono stato capito? E io ho capito davvero quello che è il significato della narrazione che ho ascoltato? La mia risposta era in linea, utile, coerente? E le risposte degli altri lo sono?
Questo è tutto quello che ci serve sapere. Le regole del gioco per mettere in relazione le varie categorie. Come per sasso, carta, forbice. Le cose non migliorano quando diventano complicate, ma ricordiamoci che spesso siamo proprio noi a complicarle, a passare la vita a cercare modi originali di incasinare tutto.
Certo, è divertente, però. Più di sasso, carta, forbice.
E mentre mi sorprendo a pensare che in effetti lo è davvero, in una maniera un po' terrificante, lo concedo, arriva un altro SUV e mi distrao.
Per quanto, in un momento di oggettiva lucidità, mi renda conto che le cose, nello specchio retrovisore, sembrano sempre più minacciose di quanto sono in realtà.

mercoledì 21 novembre 2012

Il cielo sopra Vada


E' come il circo quando parte, la stazione la mattina presto. Con i suoi odori pungenti, l'aria desolata di mancanza, la gente che gira spaesata, nani, acrobati e ballerine che si attardano a cercare il leone che manca. Nel primo caso: lo spettacolo se n'è andato. Nel secondo: non è ancora iniziato.
E' come il teatro prima dello spettacolo, la stazione la mattina presto. Con i radi spettatori in anticipo madornale che beccheggiano nel mare rosso della platea e gli attori ancora struccati che fanno capolino dal sipario, sì, qualcuno è arrivato, speriamo bene.
Magari è una questione di luce, perchè fa caldo nonostante siano le cinque e mezzo. E' un agosto inclemente e vanitoso. Le ancore di salvezza sono due: il barista che sembra far parte dell'arredamento e giureresti che vive e dorme lì, dietro quel bancone, e ti fa il caffè senza neppure che tu glielo chieda, abituato com'è a sentirselo ordinare e a leggere la stanca noia negli occhi di chi è costretto, una volta tanto, a svegliarsi presto. Avventore non abituale, gli si fa un bel caffè che non si sbaglia.
L'altro è il giornalaio, stessa risma del barista, spacciatore di fumetti che non invecchia di un sol giorno mentre io in più di dieci anni sono invecchiato pure per lui, come il ritratto. Dorian mi vende l'ultimo ritrovato della narrativa a vignette dei nostri ameni lidi, la pubblicazione a buon mercato e per un editore amatoriale di un fumettaro di seconda fascia, invero bravo. Omini di china semplici e atri, come macchioline d'inchiostro, che parlano per immagini. Dorian è un pusher di fiducia, mai preso un treno senza la mia dose, se un giorno saltassi il rifornimento probabilmente la prenderebbe male e chiuderebbe bottega. Non mi sento di dargli questo dispiacere e attingo all'obolo con un moto di complicità, mentre invecchio di un'altra mezz'ora per permettergli di continuare la sua opera pia.
Poi si sale sul treno, evitando la marmaglia che affolla i binari. In realtà: poche persone, che si può ad ogni buon conto definire derelitti. Rimasugli del giorno prima, sciancati e barboni, donnine grasse e sgraziate e venditori ambulanti carichi di calzini, sparuti turisti che prendono le vacanze come se fossero le tappe del tour o l'invasione della Grecia.


Tedeschi. Tutti uguali. Ci si sveglia alle quattro di notte e si trascina la famigliola (padremadre e tre bambini di vent'anni) al blitzkrieg verso Pisa, che se arriviamo abbastanza presto li prendiamo di sorpresa, questi Italianen, e li conciamo per le feste.


Padremadre di germania ciondolano la testa all'unisono, sgranocchiando brioches stantie e gettando occhiate torve su di una guida edita dalla gestapo.
Italien. Istruzioni per valicare la linea Gotica.


I bambini mi si affollano intorno. Hanno cuffie per i lettori MP3, brioches stantie pure loro, scarpe da ginnico cimento e pantaloni corti color kaki. Riconosco il piglio tipico del genio guastatori, lo sprezzo del pericolo mentre addentano le cibarie, l'occhio vigile nello scrutare dal finestrino.


Keine gegenstände aus dem fenster werfen, ce l'hanno scritto loro.


I bambini sono tre, due maschi e una femmina. Siede davanti a me e nicchia.
E' bionda e bella, coi tipici lineamenti teutonici ma non troppo marcati: è giovane. Avrà tutto il tempo di diventare una forzuta giovenca, per adesso somiglia più a un giglio tigrino. Che è bionda l'ho detto ed era pure pleonastico, ha labbra rosa assai carnose, gli occhi di un blu anonimo, non di un bel blu, soltanto un blu qualsiasi. Come quello dello sfondo di windows.
Lei non mangia e non ascolta musica. Ha short shortissimi che lasciano esposte due gambe liscie come un divano dell'emiro di Adana e lunghe come un discorso di Fidel Castro, bianche nella loro abbronzatura, con ginocchia da bambina. Le accavalla con maestria, sapendo di poterlo fare, mentre padremadre continuano a preparare i piani per la presa della torre pendente.
La piccola germanese sfoglia con la grazia affettata di una lolita appena cresciuta una rivista patinata piena di K e di FAFFEN, che ne tradiscono l'origine dòicce. Fotografie di pulzelle senza acne, senza cellulite, senza problemi grazie al prodotto: vedere allegato. Non legge, guarda solo le figure, si annoia, sbadiglia senza mettere la mano davanti alla bocca, mostrando sei file di denti piccoli come tasselli d'avorio e bianchi come chicchi di riso. Produco un pensiero che abbraccia contemporaneamente il disgusto per la mancanza di garbo e la pragmatica educazione nordica, scevra di mille noiosissimi ed inutili leziosismi. Noi italiani siamo più educati, ma non facciamo il biglietto sul treno. Immagino le turbe dei figli di Jutland, quei teutoni che soppiantarono i raffinati Celti, che piegarono le tribù dei Boi e degli Arverni, i mitologici Cimbri che neppure i romani riuscirono ad estirpare. Neppure gli Unni. E mosso a commossione sto quasi per offrire alla donzella di Mainz il mio misero fumetto, confortato dalla sua attrazione per le figure e dalla mia padronanza della lingua d'albione. Ma non lo faccio, ci mancherebbe, per due motivi. Il primo è che in fondo non ne ho motivo: la pulzella non mi interessa e non mi piace, per quanto bella sia.
In ultima analisi, è sciatta, fiacca e svagata come un giocatore del Cesena. Non ha la personalità di un personaggio di Nabokov, non ha la tragicità conturbante di un vero giovane virgulto, è solo che non è cresciuta abbastanza per essere una donna assai comune.


Il secondo motivo è che l'albo a fumetti è mio, mica suo. Figurarsi se vado in giro a regalare cose mie al primo che passa. Era solo così per dire, a noi che si scrive vengono sempre in mente un sacco di cose ma poi mica le facciamo: ne parliamo e basta.


Il cielo sopra Vada è come quello sopra Berlino.
Gonfio di nuvole grigie, tira vento e il mare s'incazza. E' blu di un blu carico, molto più bello degli occhi della troterella. Gli ombrelloni sono chiusi, sulla spiaggia non c'è ancora nessuno, sembra Rimini a dicembre, ma a Rimini non ci sono mai stato, anche questo si fa per dire.
L'umidità si attacca ai finestrini e alle poltrone, rende tutto un po' fiacco, i due bimbi maschi si scambiano impressioni di settembre fuori stagione e si passano il rancio come soldati diretti al fronte occidentale. Lo sanno, loro, che prenderanno Parigi in una settimana: la levataccia non li ha messi di malumore.
La bambina struscia con fare voluttuoso una gamba sulla mia, facendomi percepire una consistenza che mi attendevo assai più budinosa. E' davvero liscia come sembra, fresca di epilazione e di crema idratante. Chiude la rivista e si volta verso il paesaggio scorrevole, avvicinando il pollice alla bocca.
E se lo caccia in gola.
Tutto, fino al palmo.
Rimango vagamente stordito, ma lei persevera, ed inizia a succhiarlo come fosse un gustosissimo gelato crema & pynoli, tastandosi il palato in cerca di masse freudiane.
Lo ingoia finchè può e lo massaggia con la lingua, producendo un vago rumore di suzione che ha a volte un che di erotizzante a volte un che di fastidioso. Peggio di un poppante. Non lo molla un secondo, si dedica al lavoro con una foga che farebbe impallidire una Jessica Rizzo alle prese con un ci siamo capiti. Ogni tanto lo estrae, con uno schiocco sordo oppure con un lieve scivolare delle labbra, un dolce risucchio dal rumore di bacio.


Slap.


Padremadre non se ne curano, ormai hanno trovato il punto debole nelle mura della Fortezza Vecchia e stanno segnando i punti dove piazzare l'artiglieria.


Slap.


I fratelloni neppure: il rancio è finito e si inforcano le cuffie, è il momento di godersi gli Shrapnel e il loro ultimo single "Non con la bajonetta!"


Slap.


Cerco di immergermi nella lettura di QED, ma quel rumore mi riscuote, mi snerva, mi disturba e mi conturba. Avrei voglia di prenderla per le spalle, strapparle la canottiera, congiungermi carnalmente con lei su quel sedile del treno, sotto gli occhi di suo padre e poi prenderla a sberle e staccarle quel maledetto pollice a morsi.


Slap. 


Come la tortura della goccia d'acqua, il piano inclinato della lussuria che diventa insopportabile nella sua provocazione inconsapevole. Ma guardandola meglio vedo solo una piccola narcisista viziata, che non è riuscita a scrollarsi di dosso un vizio puerile che si porterà dietro per tutta la vita e che la renderà un giorno una vecchia ridicola che si consuma il pollice ossuto sulla dentiera.
E' una questione di luce e di prospettiva, di rumore di fondo. Non c'è nulla di eccitante in quel gesto così eccitante. Nulla di bello in quella ragazza così bella.
Neppure che sia volgare, solo: dopo un po' costei annoia. Me ne ricordo parecchie di persone così. Che si succhiavano il pollice. Se lo succhiano anche adesso, non smetteranno mai. Come non smetteranno mai di accavallare le gambe per farsele guardare e di sfogliare riviste patinate. Ragazze belle come da Upim, che credono di aver scelto con oculatezza il loro sentiero e la gente che sta loro intorno. Altra gente-Upim. Il destino di chi si fa scegliere invece di.

E così abbiamo il barista che indovina la bevanda che vogliamo, il giornalaio che spaccia fumetti perfetti senza invecchiare, la corte dei miracoli in attesa sui binari, una giovane tedesca che cerca inconsapevolmente di sedurre il prossimo e una giornata grigia e senza acuti.
Ogni persona ha una sua peculiarità, una sua particolare abilità, una caratteristica innata. C'è chi la usa, c'è chi non lo fa e fa in modo che siano gli altri a usarla.
Il mio cane per esempio sa capire con assoluta precisione quando ho in mano un biscotto e quando no. E io so dire senza tema di errore alcuno se c'è una falena libera nel raggio di venti metri da me.
Ma non so capire se chi ho di fronte, in un determinato momento della giornata, vuole un buon caffè. E non so succhiarmi il pollice con tutta quella fastidiosa malizia.

venerdì 14 settembre 2012

Chapeau




"Dal Sacro Libro della Verità Vera e Indiscutibile, libro primo (La Costruzione del Mondo 1.0), paragrafo 1:

All'inizio v'era solo uno spazio vuoto denominato Ab qualcosa. In questo spazio vuoto, di color turchese per questioni igieniche, stava seduto Pandoro, dio della grazia mancata di un soffio e delle sei ore lavorative al sabato. Pandoro si annoiava moltissimo, perchè permaneva in uno stato assente da ogni tipo di frizione da sedici lustri e non aveva neppure sotto mano un gheimboi per passare il tempo. Allora fece chiamare all'interfono il dio Gorgo, che soprintendeva allo svuotamento della vasca quando è mezza piena e al latrato del dingo quando avverte un certo appetito e assieme (perchè Gorgo era amico A lui) andarono a svegliare il Dio supremo che non si può rammentare perchè è peccato e perchè porta male anche solo provarci. Il dio supremo, che si chiamava Paganacci Emo, ascoltò le lamentele di Pandoro e Gorgo e decise che l'indomani sul presto (verso le seiemmezzo-sette) avrebbe creato un universo dall'Ab qualcosa. E così fu: per primo creò il colore magenta, per distinguere due parti dell'Ab qualcosa, una turchina che chiamò "giorno" e una magenta appunto che chiamò "peristalsi". Soddisfatto, creò pure due lampade a petrolio dei rispettivi colori, per spiegare la presenza di questi ultimi, scusate la sintassi ma sono un povero pastore illetterato della Cappadocia, ma voi continuate a leggere come se fosse la parola di Dio. Dopo aver creato i lumini creò tutta una serie di altre cose tra cui: gli istituti di vigilanza, il raffreddore comune, quello un po' più molesto e pervicace, i numeri 4, 7 e 903, la parola "sghembo", l'apocope, il colpo apoplettico, tre diversi orbitali e il giovedì. Poi fece un cane gonfio, le oloturie, le lettere A, B e F e dodici diversi gusti di resina di pino. Inventò il getto del peso, la gravità, il senso di colpa e un gioco i carte chiamato "Ridammele". Infine, dopo tutto questo lavoro, creò pure l'uomo. E lo fece a immagine e somiglianza dei due dèi Gorgo e Pandoro: a forma di pandoro fu fatto l'uomo e a forma di gorgo la donna. Qualche tempo dopo si incazzò come un alce per via di una certa questione di birre sparite dal frigo e di bruciature circolari sul divano e cacciò entrambi. Fine.

Dal Sacro Libro della Verità Vera e Indiscutibile, libro terzo (Pèntiti, non pentìti), cap. 8

E così Dio (che aveva nome in Emiliacci Paride) decise che ne aveva avuto abbastanza di questa sit-com ripetitiva e decise di aggiungere qualche personaggio. Così sulla Terra iniziarono a piovere bestie che dio le mandava, ed erano di tutte le fògge e dimensioni. C'era il serpente con un dente solo, il gorilla gradasso, il narvalo di sbieco e la volpe con la coda nella portiera. Poi inizarono a diluviare cimici del radiatore (della punto), orsi bradicardici, corvi di pangrattato e il canguro con l'abs e il chinotto nella borsa. Da ultimo, veramente inviperito, gettò pure il cavallo senza congiuntivo, il majale riciclabile e il sindaco-toro, e pure un paio di incudini così, per spregio. Era il diluvio, ma c'era un uomo pio (il primo che pensa a quel maledetto pulcino giuro morissi gli taglio le gomme della vettura) che si chiamava Bambagiani Loris, che sullo schermo della sala bingo vide il messaggio di dio che NI diceva: bambagiani loris, te sei un uomo pio (stesso discorso di prima), costruisci una barca grossa diversi cubiti e alta non più di due, di modo che io possa salvare la tua gente dal diluvio di bestie maledette. Ma il Loris era anche mezzo orbo, e non afferrò una cippa del discorso di dio sullo schermo della sala bingo, intento com'era a seguire l'estrazione del numero 37, che a lui piaceva molto, e si dimenticò di fare la barca. Ame.

Dal Sacro Libro della Verità Vera e Indiscutibile, libro XICF (La Verità secondo Rutellio)

Era Pelmo, il Figlio di Dio, un uomo alto, biondo e con gli occhi color NSU Prinz. Sua madre si chiamava Attilia e suo padre Gargamello, aveva l'orecchino all'orecchio sinistro e arrotava leggermente la S. Fece i seguenti miracoli: il tacchino sordo, il gioco delle tre carte, il tiradito, la scomparsa di un foglio da evri 500 e la camminata su di una strada un po' in pendenza. Parlò contro i posteggiatori abvsivi nel famoso Discorso alla Municipale.

Dal Sacro Libro della Verità Vera e Indiscutibile, libro XXDE (La Verità secondo Malleolo)

Era Pelmo detto l'ortostatico, per certe sue proprietà fisiche e di transizione. Aveva i capelli biondi e l'orecchino all'orecchio sinistro, ma arrotava un po' la R. Suo padre si chiamava Attilio e sua madre Gargamella. Fece il miracolo del tacchino sordo, quello della carta mancante e più tardi (verso le nove) sparì e comparve al Bar a redarguire quelli che si scolavano i camparini."


Cos'è patetico?

Vi chiederete cosa c'entri con questa lunga introduzione, la più lunga che abbia mai fatto e forse che farò mai.

Sarei andato avanti per ore del resto.

Ma il punto di partenza è la domanda: cos'è patetico? Non vi preoccupate, l'ho presa ariosa, ma ora ci arrivo.

La domanda me la sono posta perchè sovente mi sento dire (o sento dire in giro) la frase "sono stato patetico/a". Spesso la frase accompagna la descrizione di attività vagamente improduttive, come l'aver fatto mille chilometri a piedi per cercare la riconciliazione con una tipa che non vi vuol più vedere, o qualcosa di vergognabile, tipo l'aver pianto in pubblico. Cos'è patetico, quindi mi chiedo? Un uomo che piange in pubblico? Un cane affamato? Un innamorato deluso? Gli ultimi amari giorni di Itle? La squadra del Livorno 2011/2012? Forse. O forse la macedonia senza fragola, la Sacher senza albicocca, un film con Boldi, Vasco Rossi? O ancora una 500 piena di grassoni in salita o una donna isterica che lancia le stoviglie? Non lo so, credo che sia soggettivo. Per me per esempio è patetico solo chi non vuol sapere. Corollario: l'ignoranza non è mai una scusa, non nel 2012, non con tutto questo popò di libri e di conoscenza a buon mercato, non con il metodo scientifico di Popper e Galileo e con i ricercatori al CERN che pubblicano i risultati online.

Ecco, questo è il mio concetto di patetico. Per il resto, fa tutto parte dell'umanità. I grassoni vanno in macchina, la gente piange e gli innamorati fanno delle stupidaggini. Sono cose normali, che succedono. Le troviamo patetiche solo perchè siamo dei gran maleducati. Sarebbe più sano trovarle risibili, quello sì, perchè tendenzialmente il riso non è l'espressione di un sentimento negativo, anche se a volte è fuori luogo. Ma sto divagando, come sempre.

Cercherò quindi di essere più concreto, per una volta.

Da centinaia di anni gli uomini intelligenti cercano di spiegare ai deficienti dov'è che sbagliano. Ovviamente, essendo intelligenti, hanno sviluppato metodi a prova di imbecille, o almeno così pensavano, ma si sono dovuti ritrovare ad aver a che fare con l'ottusità, la gemella cattiva della cretineria. L'ottusità è una mala bestia che, se si accompagna ad una cattiva istruzione, ad uno scarso QI e a una pessima digestione, provoca l'inquisizione spagnola (e chi se l'aspettava?), il processo a Galileo, Itle, le guerre sante e le pubblicazioni della Torre di Guardia. Ah, e i film di Natale, stavo quasi per dimenticarmi di quei film.

Orrendi, davvero, ci vuole del coraggio, io se proprio dovessi essere costretto con le minacce a vedermene uno andrei al cinema con un sacchetto in testa per non farmi riconoscere.

Divago, divago.

Quindi Aristotele, Popper, Galileo, Russell, Bridgman, l'elenco è lungo e non lo completerò mai, si sono dannati l'anima e il corpo per cercare di insegnarci qualcosa e hanno escogitato vari metodi che chiameremo metodi scientifici, di modo che si potesse definire con assoluta certezza che un ragionamento è a prova di bomba e inattaccabile pure dal più gigantesco cretino in malafede che possa esistere. La falsicabilità delle teorie, la logica e tutte le sue implicazioni, l'operazionismo della scienza, il metodo empirico... tutto quello di cui stiamo parlando non sono teorie che possono essere vere o no, ma il motivo per cui alcune teorie sono vere o no, le linee guida che tutti noi dovremmo seguire per stabilire se davanti abbiamo la verità, una verità tangibile e sicura, o soltanto una fola da cialtroni.

Ci state arrivando ora?

E' come la storiella della pietra che tiene lontane le tigri. Io ne ho una, e funziona. Non vedo tigri in giro. Quelli di voi che hanno capito da soli dov'è la falla nel mio ragionamento hanno vinto una bambolina di panpepato. Gli altri invece il mio più colossale disprezzo. Ma, per onor di completezza, mi toccherà aggiungere che il mio ragionamento è fallato perchè non falsificabile. Ovvero: l'assenza di tigri non può essere spiegata dalla presenza del sasso, dato che se mi sbarazzassi dell'ingombrante orpello geologico otterrei lo stesso identico risultato, cioè l'assenza dei famelici felini nei dintorni della mia magione.

Un'altra bella cosa da tenere a mente è che tutti i concetti teorici devono essere legati a operazioni osservabili.

Torniamo al nostro sasso: tralasciamo la falsicabilità, per adesso, e ammettiamo che il sasso allontani VERAMENTE le tigri. Questo tuttavia non basta a far sì che la mia teoria sul sasso-scaccia-tigri sia vera. Devo anche dire COME fa ad ottenere quell'effetto. E devo poter osservare il funzionamento del meccanismo. Che ne so, magari emette delle onde radio che disturbano il felide, oppure la tigre non gradisce il suo odore. Ma non posso dire che il sasso "è magico" oppure che emana degli "antitigrotroni" immisurabili ed inquantificabili. Questa non è scienza, è ciarlataneria. Gli esperimenti devono essere ripetibili da chiunque in qualsiasi condizione, misurabili, comprensibili.

Ora ci siamo un po' più vicini? Bene.

Allora vi chiedo: cosa c'è di diverso tra il sasso che allontana le tigri ed il contenuto del Libro della Verità Vera che ho citato nell'introduzione? E la domanda seguente sarà, cosa c'è di diverso tra il Libro della Verità Vera e tutte le vostre convinzioni, tutti i vostri paradigmi?

Chi ha detto "Niente"? Bene, lei, là in fondo, con lo sguardo da giudeo, ha vinto una bambola di panpepato pure lei.

Consideratela, se vi piace, una velata invettiva contro le religioni, ma tenete a mente che questo discorso vale per ogni aspetto della vostra vita. Spesso scegliamo le cose alle quali credere o non credere sulla scorta di stati emozionali, di lievi fluttuazioni delle gonadi, di superstizioni ancestrali o di simpatie non meglio definite. C'è chi crede nell'oroscopo ma non nell'omeopatia. Chi nell'aromaterapia ma non nella cabala. Chi nella bontà dell'animo umano ma non nella cardiologia. Si tratta sempre di fede, e la fede è nemica della scienza esattamente come il palo è il nemico naturale del buco e la pigriza è nemica del campeggiatore.

Scegliete pure a cosa credere, comunque. Bugie pietose, istrionerie da avanspettacolo, illusioni sulla felicità con la persona che credete vanamente di amare, religioni, medicina alternativa... tutte cialtronerie, ma siete liberi di farlo. Vi troverete probabilmente ad essere (nell'ordine): ingannati dal prossimo, commossi da guitti, irretiti a vita in relazioni insoddisfacenti e fallimentari, imbottiti di tritolo per saltare nei pressi di una moschiesa o di un buddistero o morti perchè avete scelto di curarvi con le preghierine o i cristalli color rabarbaro quella brutta infezione micotica ai polmoni, invece di prendere l'amfotericina-b. Ma d'altro canto è nella natura umana la tara di essere boccaloni e influenzabili, di ignorare le cose che non tornano, di convincersi a bella posta di fatti inspiegabili, di cercare spiegazioni assurde (invece di usare il famoso ed infallibile Rasoio del Sig. Occam, la prima lama solleva il dubbio, la seconda lo taglia, la terza non serve). Se non torna lo faccio tornare o lo ignoro. Un po' come dire: se non funziona forzalo, se si rompe andava cambiato.

Ecco, per rispondere alla domanda che mi ero fatto, e che magari qualcuno di voi mi ha fatto, o che avrà pensato di farmi: questo per me è essere patetici. Ma non prendetela come una cosa personale.

Anche perchè a pensarci bene, c'è una cosa che è ancora più patetica di tutto questo. Non ha a che vedere con la scienza o con le religioni, magari solo un po' con l'irrazionalità delle cose e del comportamento umano.

Infatti, niente è più patetico di un uomo che corre dietro al suo cappello.

giovedì 13 settembre 2012

Il suo nome è Robert Paulson


 

Ancora non mi viene a mente niente.

Sono qui che penso a questo post da giorni, e il mio umorismo da flashback sembra essersene andato al creatore, insieme con la capacità di concentrarmi e di scrivere. Dormo poco e male, quando sono sveglio sono stanco e demotivato. Dovrei farmi di fisostigmina, ma non la vendono così al primo che passa e non m'è ancora venuta in mente una buona idea per farmela prescrivere. Se non dormo studio, dato che di nuovi pallini inutili, di fissazioni da assecondare ne ho anche troppe. Ora chiamo "edema" un gonfiore, so dov'è la succlavia e cosa ruba quando ruba e come si riconosce la Korsakoff.

La Korsakoff, già, in effetti è interessante. La malattia della confabulazione. Quando uno è affetto da Korsakoff soffre di vuoti di memoria. Il suo cervello, incapace di registrare i cambiamenti, tende a spiegarsi le cose che accadono interpretando come meglio può ciò che vede e ricavandone una storia verosimile. Vi trovate in una sala d'aspetto, circondati da vecchi artritici? Crederete di essere un nipotino in visita, un geriatra, o magari un vecchio pure voi. Avete un brutto livido all'occhio e in tv trasmettono un film di Rocky? Racconterete che ve lo siete procurato ad un incontro la sera prima, perchè siete un puglie professionista, e così via. E il bello è che ne sarete pure convinti.

Tutto sommato, di Korsakoff siamo malati un po' tutti. I malati veri la memoria ce l'hanno danneggiata, noi semplicemente la ignoriamo. Ci vogliamo dimenticare le cose, le persone, i fatti. Ci raccontiamo storie per spiegare la nostra situazione, ci diamo risposte basandoci sull'adesso, su ciò che ci circonda, e basta. Confabuliamo. Interpretiamo malamente la realtà, mentendo a noi stessi e credendoci così come un perfetto Korsakoff, per poi sciorinare le nostre confabulazioni al prossimo, che farà finta di crederci, e così via.

E' un manicomio, gente.

In questo paese di ciechi, chi è orbo è un re.

Io confabulo, copiosamente, temo. Ma uno degli effetti positivi della mancanza di concentrazione e dell'insonnia è che paradossalmente, rendendo la mente meno lucida, appanna pure le bugie. E riesce a farti vedere più chiaramente.

Non riesco a studiare e leggere con profitto, figurarsi a scrivere, e allora penso. Ascolto Shostakovich, e penso. La prima cosa a cui penso sono le persone.

Io i rapporti personali non li vivo, non li gestisco. Io li perpetro, come una rapina in banca. Quando le cose vanno bene, di solito finisco col rovinarle. Un analista superficiale potrebbe dire che è perchè non sento di meritarle, e allora faccio in modo che la gente si allontani...Cazzate. Le rovino perchè sono fatto così, perchè è come cercare di far entrare un elefante in una cristalleria, se mi concedete la metafora. Qualcosa si romperà, e allora o vi tenete l'elefante o vi tenete i cristalli.

E quando le cose non vanno bene il mio desiderio è quello di distruggere tutto. Vorrei ficcare una pallottola nella testa di quei maledetti panda che rifiutano di accoppiarsi. Vorrei far naufragare enormi petroliere a largo di Malta per distruggere quello che non vedrò mai. Vorrei, sì, rompere qualcosa di bello. Teppismo emozionale, vandalismo delle relazioni sociali. Un atto più raffinato, me lo concedo, che rigare una vettura.

A volte lo faccio con grande maestria. Con semplicità.

La cosa migliore che ho fatto in vita mia non è stato un atto, ma un'omissione. Una volta ho scelto di non distruggere qualcosa. Non ne vado fiero e non me ne pento. Non so neppure se è una cosa positiva o no. I gesti, e le omissioni anche, vengono sempre interpretati alla stregua delle parole, inutile affannarsi a fare o non fare, dire o non dire, il giudizio di voi stessi o degli altri non c'incastra nulla con ciò che fate o con ciò che dite. Se fosse così vivremmo in un mondo migliore.

Ma non è così.

Pur tuttavia credo fermamente che il teppismo emozionale sia una scelta sana. Sia chiaro: non è autocritica la mia. Non sto rinnegando nulla, non sto cercando di cambiare. Le persone non cambiano. Sto solo dicendo che è un modo come un altro, anzi forse più sano di altri. Qualcuno potrebbe definirlo immaturo. Io lo definisco evoluzionalmente accettabile, e proficuo. Il leone stermina la prole degli altri maschi, quando si accoppia con la femmina. Interi popoli che adesso prosperano lo fanno sulle ceneri di etnìe sterminate senza pietà. Perché mai dovremmo allora considerare l'altruismo e la bontà, specialmente quella falsa, quella stupida ipocrisia sociale, come un qualcosa di utile alla specie? Madre natura se ne frega di voi e dei vostri sensi di colpa, una tigre che sta per sbranarvi non si fermerà a pensare se siete stati onesti o meschini nella vostra vita. Il bene che fate (o il male che non fate) lo fate solo per viltà. Perchè avete paura delle conseguenze, delle ritorsioni. Non siamo nulla di bello, non siamo nulla di meraviglioso o di speciale: di umanità c'è un grande spreco nel mondo. Non cambia mai niente.

Ciò che non posso avere non voglio che lo abbiano altri. Si tratta di gestione delle risorse. Chiedetelo a Napoleone. Vi dirà che in Russia si trovò circondato da campi devastati e città date alle fiamme, senza potersi approvvigionare. I russi lo sapevano bene di non potersi difendere, e allora cosa fecero? Dettero fuoco a Mosca, alla città che avevano più cara. E per cosa? Napoleone era peggiore dello zar? No, anzi. Era così importante fermarlo? Chi lo sa. E chi lo sa perchè si prendono certe decisioni, e chi lo sa perchè a volte odiamo il prossimo.

Bè, non del tutto, io questo per esempio un po' lo so. Perchè è la seconda cosa a cui penso. Alle volte in cui ho avuto ragione.

Quelle in cui ho avuto torto sono molte, magari, ma non così importanti. Un fallimento lascia la delusione, certo. Ma aver avuto inutilmente ragione fa crescere la frustrazione, che è un sentimento molto più interessante. Può portare a rabbia o depressione, può essere un freno o un motore per generare qualcosa di nuovo. La frustrazione è importante, ha un buon sapore. E' ciò che vi spinge a migliorare.

Incidentalmente, vi farà pure odiare tutta quella massa di babbalèi che non vi danno mai retta, che si credono felici, o che vi catalogano come un buffo antisociale.

Ecco.

Noi antisociali non siamo buffi.

Non siamo carini. Non siamo divertenti. Non siamo misantropi tanto per fare in modo che qualcuno si accorga di noi. Non è un gioco delle parti: -Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate "Michele vieni di là con noi, dai" ed io "andate, andate, vi raggiungo dopo". Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo...

Ed è mai possibile che per molti di voi tutto sia senza importanza, che non ci si debba mai chiedere il perchè delle cose, che non si possa mai guardare un po' più a fondo nell'animo umano e nei meccanismi sociali senza attirarsi la taccia di "personaggio un po' matto ma divertente"?

Possibile che la maggioranza di voi non si renda conto del dolore che c'è, dei quali noi siamo in ultima analisi l'unica voce?

Possibile, pare.

Ma anche qui non voglio dilungarmi, perchè sembrerebbe una lamentazione, come prima poteva sembrare autocritica. E lamentazione ed autocritica le lascio per quelli che devono scrivere i discorsi ai vertici del PD.

Solo: non siamo buffi. Levatevelo dalla testa ed iniziate a prenderci sul serio. Oppure noi faremo anche la fine di Cassandra e Laocoonte, ma vi ricordo cos'è successo ai troiani, e allora si vedrà chi riderà più forte.

Et voilà, ecco il prodotto di una mente vagamente disturbata dalla mancanza di riposo. Non c'è male, pensavo peggio. Sconnesso, certo. A tratti pure istrionico e di maniera, ma ha un suo perchè, una sua sfocata, distratta disperazione.

D'altronde non mi sono certo creato io un alter ego perdente per sentirmi meglio.

Sono stato Tyler sempre più a lungo?

Sono andato a letto sempre più tardi?

Devo forse trovare Tyler, in qualche buco di città, sepolto in uno scantinato?

Fabbricare il sapone?

Preparare le esequie di Robert Paulson?

Non lo so: ancora non mi viene a mente niente.

domenica 5 agosto 2012

Love in the time of IUPAC



Oggi sarò come Pipino.
O almeno ci proverò. In ogni caso, sono sempre stato logorroico e concentrato esclusivamente su quello che dico. Per questo mi piace fare grandiosi monologhi senza contraddittorio. Ma oggi si proverà ad essere concisi, per quanto l'argomento presenti oggettive difficoltà.
Tutte le discussioni, tutte le scoperte, tutte le cose che riguardano la dialettica e quindi il pensiero, ivi comprese le relazioni umane, nascono da una domanda.
Come mai le mele cadono dagli alberi? Ed ecco che scopriamo la gravità.
Chi ci ha creati? E ci figuriamo una pletora di divinità: abbiamo inventato le religioni.
Come posso alleviare questa sensazione di solitudine che mi pervade? E si inizia una relazione.
Ora, nel primo caso il metodo scientifico, che vi consiglio di andar a ripassare, ci garantisce che la risposta è corretta. Abbiamo fatto una domanda, vagliato le ipotesi, fatto degli esperimenti e confrontato i risultati. Questo ci ha portato nuove domande, a valanga. Ma il procedimento e i suoi risultati si sono rivelati esatti.
Nel secondo caso abbiamo fatto confusione. Abbiamo formulato un'ipotesi, ma non l'abbiamo verificata. Abbiamo falsificato i dati, ingarbugliato i conti per farli tornare. Abbiamo evitato di comportarci con logica e razionalità, come bambini bizzosi, e  abbiamo deciso che la religione è una cosa diversa dalla scienza e che non può essere dimostrata. Un po' troppo comodo... seguendo questo precedente io potrei stabilire arbitrariamente, allora, che esiste da qualche parte nell'universo o al di fuori di esso una qualsiasi cosa che potrebbe o non potrebbe avere relazione con la nostra vita ma la cui esistenza è per definizione indimostrabile.
Sì, larillallero.
Se funziona davvero così e il metodo scientifico non vi interessa, la prossima volta che vi ammalate perchè non andate a farvi curare da un prete?
Ma andiamo oltre, e arriviamo al terzo caso.
Ecco, qui le cose si fanno più complicate, ma se ne può uscire lo stesso, con un po' di buonsenso.
Io non l'ho mai avuto, ma piano piano si impara.
La risposta alla terza domanda infatti può essere sia giusta che sbagliata, diciamo che ha bisogno di ulteriori controlli e di un atteggiamento che sia il più possibile neutro e imparziale.
Spieghiamoci meglio.
Prendiamola più larga.
Le persone fingono. Tutte. E le persone mentono. Tutte.
Siamo una manica di bugiardi e di ruffiani, questa è la triste verità. Non diciamo mai quello che pensiamo veramente.
-Com'è questo vestitino? -Un amore (Orribile).
-Come stai? -Bene (Come un cane bastonato ).
-Mi sono sposata. -Sono felice per te (Ti auguro che tuo marito ti metta incinta, poi ti faccia le corna con la tua migliore amica, poi ti lasci sola come un cane e tu muoia male e in solitudine.)
E così via.
Da un lato l'omertà sociale ci porta a giustificare quelli che ammettono di evadere le tasse, di essere assenteisti, di frodare il prossimo. Ci fa soprassedere su tradimenti, frodi, menzogne e inganni. Ci fa assentire con garbo quando all'orecchio ci giungono le teorie più stupide e disparate.
No, ma in fondo Berlusconi è un brav'uomo.
No, ma in fondo il tradimento non è così grave.
No, ma in fondo l'omeopatia funziona.
No, ma in fondo magari Dio c'è.
Facciamo schifo, siamo una massa di ipocriti. Facciamo sempre finta, finta di essere in accordo con tutto, perché siamo dei vigliacchi. Abbiamo paura di inimicarci il prossimo: la prerogativa è piacere a tutti i costi, anche a quello di annullare la propria personalità.
Sorridi sempre, sii amichevole, non essere polemico o pedante. Non criticare e non contestare mai nulla e nessuno. Sii la puttanella sociale che tutti vogliono e si aspettano.
Questo ci insegnano sin da bamini. Se hai un'opinione: tienitela per te. Quando poi diventerai ricco e famoso potrai anche esternarla e tutti approveranno, perché sarai potente, ma fino a quel momento uniformati al gregge.
Se non è "beeeeee", non dire altro.
E questo è quello che facciamo con gli altri. C'è anche il rovescio della medaglia: quello che gli altri fanno con noi.
Mentono.
Non dovete mai credere a nessuno.
Le persone vi saranno amichevoli per ottenere da voi dei favori.
Saranno gentili per paura di ricevere una sberla.
E vi faranno le moine per accoppiarsi con voi, nel caso siate attraenti o facoltosi.
Ti piace il cinema russo degli anni 20? Anche io ne vado pazzo.
Di che segno sei, del radiatore? Che combinazione: anch'io.
Adori le corse di paperi in fiamme? Ah, sono la mia passione.
E così via.
Voglio vedere quale sarà la persona (di solito: il maschio) che, col miraggio di un accoppiamento negli occhi, vi rivelerà candidamente: "Che? Di che segno sono? Perchè, te credi a queste cialtronaggini da tardo medioevo?".
Un'uscita del genere vi potrebbe condannare alle seghe a vita.
Bisogna fare attenzione, essere scaltri, saperci fare. E tenere sempre a mente che quando si inizia una relazione si entra in un campo minato, un agone politico nel quale entrambi i contendenti mentono in continuazione e fingono di essere persone diverse da quello che sono.
Mettiamo che incontriate un ragazzo/a.
Un perfetto estraneo, non conoscete i suoi amici o parenti, non conoscete il suo passato, non l'avete mai visto prima.
Cosa sapete di lui? Niente.
Vi potrà raccontare quello che vuole, potrà comportarsi come desidera, e se è abile vi infinocchierà perbenino.
Comprereste un'auto usata da Nixon? No, perchè lo conoscete.
Ma la comprereste da uno che non conoscete affatto e che, per quanto ne sapete, potrebbe essere anche PEGGIORE di Nixon?
E' una situazione pericolosa e critica, e quelli di voi che vogliono cimentarsi in questo delicatissimo sport hanno davanti a sè tre alternative. E io, che sono buono come il panpepato, ve le enuncerò.
La prima: state soli.
Mica muore nessuno a star soli. E si ha un sacco di tempo in più per fare quello che ci piace. Non si deve rendere conto a nessuno di quello che si fa e, cosa assai più importante, non si deve mentire al prossimo, né fingere interesse in attività francamente terrificanti come andare a guardare le vetrine e fare scìopping. Resta il problema dell'accoppiamento, ma se per voi è così fondamentale esistono sempre le "botte e via", mica ci vuole il fisso connubio tutte le volte, eccheccristo.
La seconda: se siete abbastanza abili e dotati, potete imparare le regole del gioco e cercare di vincere. Potete -con un po' di pazienza e di inclinazione- apprendere a manipolare il prossimo, a piacere, a pilotare una relazione dove volete voi. Potete imparare a mentire, scoprire le menzogne, anticipare le crisi, vedere al di là delle falsità. E' una specie di social engeneering applicato al coito. Sembra assurdo, ma vi spaventereste a sapere quante persone adottano questa via e a quante va bene.
Ve lo dico io: lo adottano quasi tutte quelle che non stanno da sole. E riescono a sfangarla esattamente LA META' di loro. Si tratta di un'ottima percentuale: tutto sta nel trovarsi nella metà vincente.
Ma io prefersico ormai la terza via, come la Jugoslavia.
Utilizzare il metodo scientifico.
La prima alternativa che abbiamo affrontato si basa sul rinunciare a dare una risposta alla domanda di partenza: è una posizione agnostica.
La seconda sul truccare i risultati, come con la religione. La Fede nell'Amore imperituro, che anche se non funziona deve funzionare per forza e che se anche non sono innamorato devo esserlo per forza perchè tutti fanno così e io mi sento a disagio e fuori luogo.
La terza, come abbiamo detto, si basa sulla ragione.
E' molto semplice, in effetti:  la sensazione di stupidità che ci fa disegnare cuoricini (in reltà sono chiappe, ma sembrerebbe poco romantico) e che ci fa salmodiare imbecillità melense sulle stelle e sui procioni dipende da elevate concentrazioni di un piccolo e fastidioso ormone che si chiama "ossitocina". Questo ormone viene prodotto durante la gravidanza e il coito ed è indispensabile per l'allattamento, utile nel parto e ha pure la peculiarità (almeno così pare) di rimbambirci e di farci credere che sia una buona idea stare insieme anche dopo l'accoppiamento.
Lo so che sembra un'assurdità, ma è proprio così.
L'ossitocina ha un'emivita di 10 minuti. Possiamo dire che questa è la durata della sensazione di infatuazione. Quando l'ossitocina cala, il cervello  cerca il modo di produrne di nuova, come un drogato di metanfetamine che si chiude nel garage e inizia a farsi le pasticche da solo.
Questo simpatico ormone viene rilasciato allora, oltre che durante la riproduzione, anche nelle situazioni socialmente ed emotivamente appaganti.
Effusioni, bacini con e senza lingua, paroline dolci (molli pucci, cippa lippa, tesoro, amore, Sachertorte e spinterogeno sono le più gettonate), sfioramenti di zone erogene, sguardi ammiccanti, pacche sulla spalla, vincite in sala corse e sguardi invidiosi dei vicini.
Ora qual'è il punto? Il punto è che in questo modo non siamo mai lucidi. E' come condurre un esperimento da sbronzi. Ovvio che i risultati saranno deludenti. Per questo, alla luce di tutto quanto detto finora, vi dico: se volte intraprendere la terza via dovete avere un grande autocontrollo e quello che si suol dire un cuore di pietra.
Evitate di lanciarvi come bangigiampisti senza elastico nel burrone dell'amore e cercate di indugiare almeno un momento sull'orlo per vedere se si scorge il fondo.
Fate esattamente come se doveste verificare una teoria fisica.
Formulate la vostra ipotesi, tirando a indovinare, come insegnava Feynman. Tipo: con quella persona starei bene.
Poi procedete alla verifica. Frequentate quella persona e sondate il terreno. Dall'esperimento usciranno: dati. Né più né meno: è molto semplice. Alcuni saranno positivi, e convalideranno l'ipotesi, altri non significativi, altri ancora negativi e la falsificheranno.
Ora viene il bello. Tali dati sono MOLTO SEMPLICI da interpretare. Il personaggio che avete accanto si è rivelato un bieco egoista? Oppure una sciacquetta da due soldi? Vi ha tradito, vi ha preso in giro? Oppure semplicemente non è come pensavate, perché all'inizio fingeva?
Non c'è problema. Si tira una riga e si fa una nuova ipotesi.
L'esperimento NON è riuscito. Punto. Non è una tragedia.
Una tragedia è, invece, ignorare i dati perchè SI VUOLE a tutti i costi che l'esperimento riesca. Che la teoria sia valida. Che le cose funzionino.
E' come la teoria delle stringhe. Per me non esiste nulla di più bello ed elegante. E' bellissima, armoniosa, mi piacerebbe tanto se l'universo fosse davvero strutturato così. E per ora posso anche crederci, ma se un giorno dovesse arrivare la smentita ufficiale, se un giorno dovessero uscire dati inconfutabili sull'inesattezza di quella teoria, bè... per quanto bella ed elegante sarebbe sbagliata, e se io continuassi a ritenerla valida sarei un povero cretino, né più né meno.
Quindi, tirando le somme, vi consiglio di essere obiettivi e di dedicare il giusto tempo ad ogni esperimento. Perché non ne abbiamo mica così tanto.
Quando troverete il risultato giusto per la vostra equazione, tenetevelo stretto. Perché probabilmente non ce ne saranno molti altri in giro, credetemi.
Ma se il risultato non è giusto, se i risultati non fanno che confermarvi l'inadeguatezza del cialtrone in questione, se non fate che collezionare eventi che vi infastidiscono, vi fanno stare come cani e non vi soddisfano se non molto marginalmente: lasciate perdere. Appallottolate il foglio, gettatelo in un cestino e via. Vi sarà comunque utile per cercare di non ripetere lo stesso sbaglio, cosa anche questa che pare inevitabile per la maggior parte di noi, purtroppo.
Potete credere a quello che ho detto, o no. La scelta è vostra. Vi viene offerta la possibilità di migliorare la vostra vita. Sta a voi afferrarla o continuare a battere la testa sul vetro come i mosconi.
E se la vostra obiezione dev'essere: "con lui (lei) sto male ma lo (la) amo!", ricordatevi delle parole del Mascetti al povero Melandri.
"Queste sono cose secondarie! Senza nessuna importanza!"
E hanno un'emivita di 10 minuti.

venerdì 3 agosto 2012

Wellness, fitness, selfishness


"Dum loquimur, fugerit invida aetas..."

Io ho. Io sono. Io faccio.
Io so.
Questa è la grande critica che m'è mossa. Io sono. Io faccio. Io so.
Ovvero l'essere egocentrico, completamente concentrato su me stesso per quanto riguarda sia quello che faccio che quello che dico. Non appena una calamità sconvolge il globo il mio primo pensiero è: la cosa tange un qualche mio interesse diretto? Se non è così: me ne disinteresso subito. C'è un problema con qualche mio conoscente? Il punto è come la vedo io e come mi sento, degli altri me ne frego. Devo scrivere qualcosa? Parlerò di me.
Sono un mostro, egoista più del Re degli scacchi: io faccio, io so.
Amo, come Lucrezio, guardare i bagnanti affogare. Mi divertono le disgrazie altrui, specie se questo altrui mi sta anche un po' sulle palle. E di solito è sempre per motivi personali. La mia etica è molto semplice: non fare a me eccetera eccetera. Semplice. Efficace.
Io so.
Sono davvero così, alla fine?
Magari sì, ma non lo siamo tutti?
Per lo meno io non mi affanno a dire che non è vero, che penso agli altri, che sono un altruista. Che la sorte del mio fratello mi addolora e che cerco sempre di rispettare le persone. Per lo meno non sono ipocrita. Io questo lo so.
Sono tante le cose che so e che tengo per me, qualcuna potrebbe pure essere utile, ma dubito che la maggioranza di voi ci capirebbe qualcosa. Altre semplicemente non sono interessanti. Per esempio: mi piace molto quel lieve odore di bruciaticcio che si sprigiona dalla tempestiva ossidazione del succo d'ananas.
Questa è una notizia che si può tranquillamente catalogare sotto a: curiosità inutili sull'autore. Se poi un giorno diventerò famoso la inserirò nella mia biografia, ma fino ad allora non interessa a nessuno.
Io so.
Un'altra cosa che so soltanto io è quello che penso della gente. In particolar modo di quella che conosco. In particolar modo di quella che -in un modo o nell'altro- mi ha causato danni.
Vedo passare un uomo che mi ha deriso, anni fa. Oppure qualcuno che mi ha mancato di rispetto. O che mi ha offeso o danneggiato, sentendosi pure più furbo del sottoscritto.
Ed io sto lì in silenzio ad aspettare che una pioggia di fuoco lo incenerisca, e nel frattempo mi prodigo invano perchè le cose gli vadano in merda. Metto ogni studio nel complicargli l'esistenza: vorrei far macumbe con le bamboline voodoo, rigargli la vettura e distruggere le sue relazioni. Guardare in silenzio, dal mio angolo di vantaggio, le rovine fumanti di Cartagine e spargere anche il sale sui poveri resti. Ma sono cose che mi terrò dentro, un abbozzo di Dantes che vorrebbe ma non fa, che gradirebbe prendere a cazzotti nel fegato il marrano che nel '92 gli fregò i soldi della merenda e gridare un poderoso "O BECCOOO!!!" all'indirizzo del bischero che faceva tanto il tracotante, sfoggiando cresta e bargigli nell'illusione d'essere più furbo di lui.
Resteranno, queste, cose che so io.
Come quando ripenso a tutte le persone che mi hanno mentito.
Certo, tutti noi mentiamo. Anch'io l'ho fatto. A volte in maniera innocente, a volte meno, a volte con difficoltà, a volte in maniera spudorata. Ed ho mentito a familiari, amici e ragazze.
Non so se mi hanno mai scoperto, a volte sì a volte no, credo.
Questo vale pure per me. Ci sono persone che mi hanno mentito in continuazione e altre che l'hanno fatto di rado. E qualche volta me ne sono accorto.
E tutte le volte che ho saputo, che i miei sospetti hanno ricevuto conferma, che mi sono reso conto: ho taciuto. E non sto parlando delle centinaia di volte in cui mi sono accorto che mentivate a voi stessi, che è anche peggio. Da buon egoista: parlo di me.
Quindi non rallegratevi nel pensiero che non abbia mai contestato le vostre banali falsità. Non vuol dire che mi abbiate fatto fesso. Magari ho solo fatto finta di credervi, per qualche motivo.
Forse perchè erano bugie innocenti, perchè non volevo discutere per cose di poco conto, perchè non mi riguardavano o perchè magari avevo scoperto la verità con metodi non proprio ortodossi come il ricatto e lo spionaggio, oppure perchè in fin dei conti faceva più male a me ammetterlo che a voi sentirvelo dire.
Ergo, ho fatto finta di nulla, pur sapendo che quella volta, su quella data, su quella persona, su quell'evento: mi avete mentito.
Ma lo so soltanto io, ed è come prima. E' più normale.
E' giusto, è giusto, è giusto.
Che io vada.
Io so.
E non sono diverso da voi in fin dei conti.
J'accuse: voi siete esattamente come me.
Avanti, chi si fida veramente del prossimo alzi la mano... 
Degli altri, diciamoci la verità, non ce ne frega un cazzo nulla. Ai nostri nemici tireremmo volentieri una coltellata, se non ci fosse il codice penale ad impedircelo. Dei sentimenti altrui ce ne sbattiamo allegramente: mica ci riguardano. Ognun per sé e nessuno per tutti. Come se la vita fosse un lunghissimo naufragio, la nave affonda e ci mette anni, e noi passiamo il tempo a rubarci l'un l'altro il salvagente.
Tutti noi siamo dei bastardi egoisti ed egocentrici, e pensiamo soltanto a noi e alla soddisfazione dei nostri capricci.
Certo, c'è anche chi non ha idea di quali siano le proprie necessità, e allora annaspa come una focena sulla battigia, ma che ci volete fare?
Io da parte mia lo so, di essere un bastardo egoista.
Vorrei che tutti quelli che mi stanno sull'anima, a torto o a ragione, morissero male, per usare una citazione.
Vorrei poter cogliere i frutti della mia vendetta, e vorrei potermi vendicare sul serio e non solo sulla carta: essere davvero per una volta il canaglione infallibile che racconto di essere.
Vorrei che tutti quelli che mi hanno mentito ricevessero dal prossimo la stessa moneta, e invece le cose gli vanno sempre bene, più sono meschini e più gli va bene.
E vorrei che le cose andassero sempre bene per me, sempre nel modo in cui voglio io, a prescindere dagli altrui desideri.
Ma soprattutto, vorrei che tutti voi la smetteste di essere superficiali.
Non vorrei più leggere stupide storpiature di Orazio.
Carpe diem, tutti si sciacquano la bocca con questo "carpe diem", credendo sia un invito alla crapula edonista, a fare quello che ci pare senza pensare, a cogliere tutte le occasioni. Mangia tutto, bevi tutto, esagera, scopati tutte quelle che passano, rotolati nel fango del crasso consumismo.
Fate venire l'onco a un povero poeta latino ormai morto.
Ma tutto deve servire da giustificazione, no? I classici latini, la crisi, la cattiveria umana, la brevità della vita, bisogna sempre avere una scusa buona.
Per smettere di farsi domande, di preoccuparsi del futuro e per vivere come i pesci rossi. O come i ricci, che ogni volta che si svegliano dal letargo si scordano cos'hanno fatto prima dell'inverno.
Ecco: io so.
Io so che, per quanto sia difficile, non voglio vivere così. Non voglio rinunciare al mio egoismo, alla cattiveria, alla misantropia. Si affoghino pure gli altri: Spugna sono io, e a Spugna ci penso da me.
Ma lo voglio fare con precisa coscienza.
Essere egocentrici è una cosa seria, e presuppone anche di accettare di star male, di avere sani sensi di colpa e di chiedersi, di tanto in tanto, cos'è che si vuol fare.
Presuppone una cattiveria non cieca, ma capace di grandi vette di comprensione.
Di essere infinitamente gentili con chi è importante e infinitamente cattivi con tutto il resto del mondo. Presuppone di tormentarsi, di farsi domande, di attendere risposte che magari non arriveranno mai.
Il dubbio, le domande, la tensione Wildiana che speriamo che duri, quei pensieri che vi tengono svegli la notte e che dipingono nel vostro volto quell'espressione arcigna, mai allegra, che il Cesare di Shakespeare temeva tanto, sono le cose che vi rendono quello che siete e che giustificano almeno in parte il vostro egoismo agli occhi dell'universo.
Se non ve la sentite, potete scegliere di fare finta, ma sarà meno dignitoso.
Ridere, raccontarvi che state bene, disinteressarvi del prossimo e dell'umano consesso con leggerezza, ed abbracciare la faciloneria. Passare dalla parte di quelle oche giulive che dividono il mondo in persone noiose e in persone divertenti e scelgono di accompagnarsi con quest'ultime. Che importa poi se son vuote e garrule come gavettoni d'idrogeno, tanto vi preoccuperete solo di cose facili: dove andare a mangiare, che scarpe mettervi, quando accoppiarvi. Vivrete una bella vita senza problemi, perpetrandola alla giornata.
Ma sarà anche questa una vita da egoisti.
E capita poi che qualcuno si ritrovi, dopo una vita così, a piangere sul cuscino quando la notte non lo vede nessuno.
Perchè le cosine che avete dentro e vi danno il tormento non vengono da fuori e fuori non torneranno: le nutrirete e cresceranno grandi e forti, anche più di voi.
Ma questo lo saprete soltanto voi, nell'intimità del vostro giaciglio, per gli anni a venire.
E il vostro analista.
E forse lo saprò anch'io.
Perchè io sono, io ho, io faccio. Io so.

venerdì 27 luglio 2012

Survival of the meanest



Luglio sta per finire.
Questo mi fa venire a mente nell'ordine: il famoso console romano che cadde alle idi di marzo, una vecchia canzone estiva, un ristorante ormai chiuso e che nell'emisfero australe è inverno.
Qui no, qui è estate, i prati sono pieni di piccoli rampicanti dai fiori bianchi, le cicale friniscono e i cani vanno in giro con la lingua penzoloni. I turisti zampettano allegri, pur non sciamando come gli anni addietro, con gli olandesi che non rispettano le precedenze, i tedeschi che viaggiano a centallora come se stessero contrattaccando sulla linea Gustav e gli inglesi che si infilano contromano pei viottoli.
Gli italiani, in questa particolare kermesse, si rivelano sempre i peggiori.
Cacofonici, scostanti e presuntuosi, scialbi e superficiali, ineducati e strafottenti.
In altri giorni mi sarei arrabbiato e mi sarei guastato il sangue, sbraitando come una muta di Husky all'indirizzo dei pratesi che parcheggiano nei passi carrabili, dei fiorentini che guastano i pomeriggi al mare, dei milanesi che intasano il traffico procedendo a passo d'uomo come se seguissero un corteo funebre. Mi avrebbero seccato assai tutti questi invasori patentati, che di solito si comportano come se fossero in vacanza e che considerano i luoghi di villeggiatura delle colonie d'oltremare dove tutto è lecito, senza considerare che in queste colonie ci sono persone autoctone che ci vivono tutto l'anno. Provateci voi, ad andare a Firenze o Milano a dieci all'ora in pieno centro, e vedrete cosa succederà.
Ma erano altri giorni, come ho già detto. Ora sono un uomo più mite, ho scoperto Gesoo e porgo l'altra guancia, e faccio come il Melandri: non mi arrabbio più.
Ne ho avuto la prova pochi secondi or sono.
Ve lo narro.
Stavo aspettando l'ora del desinare e giocavo con una certa qual soddisfazione a World of goo per ingannare l'attesa. Avevo appena sbloccato l'asse Z e la terza dimensione e mi accingevo a lanciare piccoli Goo digitali in orbita intorno ad un pianetino verdognolo quando una tromba squillante come quella che fece crollare le mura di Gerico mi ha riscosso dal torpore.
Era un CAMIOS,”guidato da qualche cafone moldavo” ho razzisticamente pensato. Invece boh, non so chi lo guidasse ma aveva ragione a strombazzare il suo disappunto.
Sotto alla mia magione era parcheggiata una motocarrozza a scoppio. Era parcheggiata così: abbandonata senza neppure le canoniche quattro frecce, in mezzo alla carreggiata dell'Aurelia. Contromano. In mezzo alla strada. In prossimità di una curva.
Praticamente, roba da fucilazione immediata senza benda e senza sigaretta.
Intorno alla suddetta vettura il traffico si trombizzava, ovviamente, dato che la presenza dell'ingombro abusivo costringeva gli automobilisti a perniciose quanto azzardate manovre di evasione che interessavano la corsia opposta, in un gioco di schivate e finte degno dei duelli del Barone Rosso.
Ho provato un lieve fastidio e la tentazione di scendere, così, d'amblè, a dirne quattro all'incauta posteggiatrice, ma poi mi sono trattenuto e mi sono limitato a mandare una silenziosa maledizione all'indirizzo del di lei treno di gomme.
Non nascondo che sono rimasto alla finestra per vedere se qualcuno più iroso del sottoscritto avrebbe risolto per farsi una giustizia privata di Bronsoniana memoria, ma non è successo nulla, e la signorina è uscita dal negozio con tutta calma dopo un quarto d'ora buono, ben tranquilla, ed ha ripreso il transito della sua esistenza.
Considerazione: sopravvive il più adatto.
Corollario: il più adatto è colui che manifesta di avere le doti migliori per sopravvivere in una data situazione.
Obiezione: così si entra in un circolo tautologico.
Sempre ragionando con me stesso, che mi ci trovo bene e di solito evito in questo modo discussioni snervanti e capziose o fraintendimenti, ho deliberato che si doveva dare un'adeguata definizione, aggiornata a venerdì pomeriggio del concetto Darwiniano di sopravvivenza del più adatto.
Chi è il più adatto?
Primo esempio: sopravvive il più semplice. D'altronde, in tutti i sistemi, le cose tendono a organizzarsi secondo la configurazione più semplice e col minor dispendio di energia. Perché noi dovremmo essere da meno? Chi ha meno pensieri, quelli che vanno in giro col maglioncino legato in vita e gli occhiali da sole infilati tra i capelli per non far venire la congiuntivite alle mèsce, si incontreranno, si riconosceranno al volo e si riprodurranno e faranno tanti piccoli esserini che assomiglieranno in tutto a babbo. Oppure assomiglieranno a Gimmi, ma tanto anche Gimmi sarà dello stesso calibro del babbo putativo, quindi poco male.
Secondo esempio: sopravvive il più puccioso. Ho preso in prestito il termine dallo slèng di noi giovani. Ad esempio, il fasmide gigante, una simpatica bestiolina innocua e con la passione per il bridge e i film con David Bowie, sta per estinguersi nell'indifferenza generalizzata. Questo perché il fasmide gigante è -a onor del vero- piuttosto ripugnante e non interessa a nessuno. Se avesse avuto il musetto puccioso di un gattino o di un cagnolino probabilmente la Brambilla si sarebbe incatenata alle rocce di qualche isoletta del Pacifico del Sud e noi ci saremmo liberati in un colpo solo del problema del fasmide e della di lei presenza.
Corollario: sopravvive anche quello con il sapore migliore. Quando una razza ha un sapore particolarmente buono la si alleva e se ne preserva in qualche modo la continuità. Questo è il motivo per cui la faraona esiste sempre mentre il dodo no.
Terzo esempio: sopravvive il più stronzo. A volte essere alti non basta. Come ci insegna Dawkins, in un gruppo di rane minacciate da un serpente sopravvivono quelle capaci di salti più adeguati e precisi, dotate di maggior fortuna e che si fanno meno scrupoli a spingere le compagne tra le fauci dell'ofide. Per noi è lo stesso. Di solito un'indole vendicativa e rancorosa è di grande aiuto per la corsa alla sopravvivenza. Ricordare per secoli un'offesa, e tramandarne il ricordo ai posteri, come fanno ad esempio i giapponesi, può funzionare da meccanismo di prevenzione e fare in modo che tale offesa non si ripeta. Facciamo un esempio. Mettiamo che un tal Cencetti mi abbia creato un qualche incomodo, ad esempio parcheggiando l'auto sul mio vialetto, trombandomi la moglie o tentando di avvelenarmi contaminando il mio cibo con elevate concentrazioni di cadmio. In questi casi biasimevoli, non solo l'immediata recisione delle principali arterie del sig. Cencetti gli impedirà nell'immediato di reiterare il suo sconsiderato comportamento (oltre a procurarci -ammettiamolo pure- una certa soddisfazione), ma la perpetuazione dell'odio nei confronti del suo discutibile patrimonio genetico permetterà altresì alla nostra progenie di guardarsi nei secoli a venire da quella stirpe bacata che sono i Cencetti, sempre pronti a qualche malefatta ai nostri danni.
In questo particolare caso, quello della sopravvivenza del più cattivo, c'è da considerare anche il fatto che più la cattiveria si affina più si fa efficace, fino ad arrivare al punto di essere completamente ed incontroveritibilmente sicura e garantita al limone nel suo successo.
Io per esempio ho cercato di tutelarmi in questo senso.
Posto il fatto che non si può pretendere di essere contemporaneamente buoni ed equilibrati, o si rischia di trovarsi a piangere sopra le centrifughe, ho deciso di sviluppare quelle caratteristiche di cui la natura mi ha dotato. Caratteristiche che, come sa chi mi conosce, non riguardano le forza bruta o l'altezza, né la capacità di correre veloce o la possibilità di far sfoggio di una particolare avvenenza.
Certo, ho il mio fascino alla Empri Bogart, ma al giorno d'oggi viene confuso con quello alla Vudi Allen e allora sòn cazzi.
Per questo ho imparato a sparare dritto e sono diventato un discreto tiratore, col tempo, fedele al motto “Da quando hanno inventato la polvere da sparo siamo tutti grossi uguale.” Ma non bastava. Quindi ho appreso qualche rudimento di lotta corpo a corpo, ma per via delle limitazioni appena discusse in fatto di stazza e di ferocia non mi sentivo ancora sicuro. Ho imparato allora a maneggiare una spada, che anche se è demodè non si sa mai.
Ma sono ben lungi dal diventare una pucciosa macchina da guerra. Per questo negli ultimi mesi mi sono impegnato in un nuovo campo di ricerca, che promette molto bene.
La sopravvivenza è una cosa importante, e quindi non starò certo qui a dire a voi, che siete tutti potenziali concorrenti per la mia particolare pozza d'acqua, come intendo arrivare all'abbeverata.
In fin dei conti, ognuno fa quel che può e usa le proprie armi. L'inquisizione spagnola ha dalla sua la sorpresa, la paura, una devozione fanatica per il papa e delle bellissime uniformi rosse. La tigre dai denti a sciabola ha i denti a sciabola. Il topo la capacità di riprodursi a sproposito e senza un minimo di coinvolgimento emotivo. Gli spacconi la loro faccia tosta e l'ingenuità del prossimo. E così via.
Come diceva Ailander: ne rimarrà soltanto uno.
Ma tenete sempre di conto che di solito quello che resta è un infingardo assassino e spregioso, quindi state attenti al prossimo.
Sopravvive il più adatto. Sopravvive il più cattivo.
Una persona cattiva è in grado di portare rancore, come abbiamo detto, per secoli. E di forarvi tutte e quattro le ruote della vettura.
Una persona cattiva come Martin Bormann ve le farà squarciare dalla Gestapo.
Ma una persona veramente cattiva potrebbe convincervi a tagliarvele da soli.