mercoledì 21 novembre 2012

Il cielo sopra Vada


E' come il circo quando parte, la stazione la mattina presto. Con i suoi odori pungenti, l'aria desolata di mancanza, la gente che gira spaesata, nani, acrobati e ballerine che si attardano a cercare il leone che manca. Nel primo caso: lo spettacolo se n'è andato. Nel secondo: non è ancora iniziato.
E' come il teatro prima dello spettacolo, la stazione la mattina presto. Con i radi spettatori in anticipo madornale che beccheggiano nel mare rosso della platea e gli attori ancora struccati che fanno capolino dal sipario, sì, qualcuno è arrivato, speriamo bene.
Magari è una questione di luce, perchè fa caldo nonostante siano le cinque e mezzo. E' un agosto inclemente e vanitoso. Le ancore di salvezza sono due: il barista che sembra far parte dell'arredamento e giureresti che vive e dorme lì, dietro quel bancone, e ti fa il caffè senza neppure che tu glielo chieda, abituato com'è a sentirselo ordinare e a leggere la stanca noia negli occhi di chi è costretto, una volta tanto, a svegliarsi presto. Avventore non abituale, gli si fa un bel caffè che non si sbaglia.
L'altro è il giornalaio, stessa risma del barista, spacciatore di fumetti che non invecchia di un sol giorno mentre io in più di dieci anni sono invecchiato pure per lui, come il ritratto. Dorian mi vende l'ultimo ritrovato della narrativa a vignette dei nostri ameni lidi, la pubblicazione a buon mercato e per un editore amatoriale di un fumettaro di seconda fascia, invero bravo. Omini di china semplici e atri, come macchioline d'inchiostro, che parlano per immagini. Dorian è un pusher di fiducia, mai preso un treno senza la mia dose, se un giorno saltassi il rifornimento probabilmente la prenderebbe male e chiuderebbe bottega. Non mi sento di dargli questo dispiacere e attingo all'obolo con un moto di complicità, mentre invecchio di un'altra mezz'ora per permettergli di continuare la sua opera pia.
Poi si sale sul treno, evitando la marmaglia che affolla i binari. In realtà: poche persone, che si può ad ogni buon conto definire derelitti. Rimasugli del giorno prima, sciancati e barboni, donnine grasse e sgraziate e venditori ambulanti carichi di calzini, sparuti turisti che prendono le vacanze come se fossero le tappe del tour o l'invasione della Grecia.


Tedeschi. Tutti uguali. Ci si sveglia alle quattro di notte e si trascina la famigliola (padremadre e tre bambini di vent'anni) al blitzkrieg verso Pisa, che se arriviamo abbastanza presto li prendiamo di sorpresa, questi Italianen, e li conciamo per le feste.


Padremadre di germania ciondolano la testa all'unisono, sgranocchiando brioches stantie e gettando occhiate torve su di una guida edita dalla gestapo.
Italien. Istruzioni per valicare la linea Gotica.


I bambini mi si affollano intorno. Hanno cuffie per i lettori MP3, brioches stantie pure loro, scarpe da ginnico cimento e pantaloni corti color kaki. Riconosco il piglio tipico del genio guastatori, lo sprezzo del pericolo mentre addentano le cibarie, l'occhio vigile nello scrutare dal finestrino.


Keine gegenstände aus dem fenster werfen, ce l'hanno scritto loro.


I bambini sono tre, due maschi e una femmina. Siede davanti a me e nicchia.
E' bionda e bella, coi tipici lineamenti teutonici ma non troppo marcati: è giovane. Avrà tutto il tempo di diventare una forzuta giovenca, per adesso somiglia più a un giglio tigrino. Che è bionda l'ho detto ed era pure pleonastico, ha labbra rosa assai carnose, gli occhi di un blu anonimo, non di un bel blu, soltanto un blu qualsiasi. Come quello dello sfondo di windows.
Lei non mangia e non ascolta musica. Ha short shortissimi che lasciano esposte due gambe liscie come un divano dell'emiro di Adana e lunghe come un discorso di Fidel Castro, bianche nella loro abbronzatura, con ginocchia da bambina. Le accavalla con maestria, sapendo di poterlo fare, mentre padremadre continuano a preparare i piani per la presa della torre pendente.
La piccola germanese sfoglia con la grazia affettata di una lolita appena cresciuta una rivista patinata piena di K e di FAFFEN, che ne tradiscono l'origine dòicce. Fotografie di pulzelle senza acne, senza cellulite, senza problemi grazie al prodotto: vedere allegato. Non legge, guarda solo le figure, si annoia, sbadiglia senza mettere la mano davanti alla bocca, mostrando sei file di denti piccoli come tasselli d'avorio e bianchi come chicchi di riso. Produco un pensiero che abbraccia contemporaneamente il disgusto per la mancanza di garbo e la pragmatica educazione nordica, scevra di mille noiosissimi ed inutili leziosismi. Noi italiani siamo più educati, ma non facciamo il biglietto sul treno. Immagino le turbe dei figli di Jutland, quei teutoni che soppiantarono i raffinati Celti, che piegarono le tribù dei Boi e degli Arverni, i mitologici Cimbri che neppure i romani riuscirono ad estirpare. Neppure gli Unni. E mosso a commossione sto quasi per offrire alla donzella di Mainz il mio misero fumetto, confortato dalla sua attrazione per le figure e dalla mia padronanza della lingua d'albione. Ma non lo faccio, ci mancherebbe, per due motivi. Il primo è che in fondo non ne ho motivo: la pulzella non mi interessa e non mi piace, per quanto bella sia.
In ultima analisi, è sciatta, fiacca e svagata come un giocatore del Cesena. Non ha la personalità di un personaggio di Nabokov, non ha la tragicità conturbante di un vero giovane virgulto, è solo che non è cresciuta abbastanza per essere una donna assai comune.


Il secondo motivo è che l'albo a fumetti è mio, mica suo. Figurarsi se vado in giro a regalare cose mie al primo che passa. Era solo così per dire, a noi che si scrive vengono sempre in mente un sacco di cose ma poi mica le facciamo: ne parliamo e basta.


Il cielo sopra Vada è come quello sopra Berlino.
Gonfio di nuvole grigie, tira vento e il mare s'incazza. E' blu di un blu carico, molto più bello degli occhi della troterella. Gli ombrelloni sono chiusi, sulla spiaggia non c'è ancora nessuno, sembra Rimini a dicembre, ma a Rimini non ci sono mai stato, anche questo si fa per dire.
L'umidità si attacca ai finestrini e alle poltrone, rende tutto un po' fiacco, i due bimbi maschi si scambiano impressioni di settembre fuori stagione e si passano il rancio come soldati diretti al fronte occidentale. Lo sanno, loro, che prenderanno Parigi in una settimana: la levataccia non li ha messi di malumore.
La bambina struscia con fare voluttuoso una gamba sulla mia, facendomi percepire una consistenza che mi attendevo assai più budinosa. E' davvero liscia come sembra, fresca di epilazione e di crema idratante. Chiude la rivista e si volta verso il paesaggio scorrevole, avvicinando il pollice alla bocca.
E se lo caccia in gola.
Tutto, fino al palmo.
Rimango vagamente stordito, ma lei persevera, ed inizia a succhiarlo come fosse un gustosissimo gelato crema & pynoli, tastandosi il palato in cerca di masse freudiane.
Lo ingoia finchè può e lo massaggia con la lingua, producendo un vago rumore di suzione che ha a volte un che di erotizzante a volte un che di fastidioso. Peggio di un poppante. Non lo molla un secondo, si dedica al lavoro con una foga che farebbe impallidire una Jessica Rizzo alle prese con un ci siamo capiti. Ogni tanto lo estrae, con uno schiocco sordo oppure con un lieve scivolare delle labbra, un dolce risucchio dal rumore di bacio.


Slap.


Padremadre non se ne curano, ormai hanno trovato il punto debole nelle mura della Fortezza Vecchia e stanno segnando i punti dove piazzare l'artiglieria.


Slap.


I fratelloni neppure: il rancio è finito e si inforcano le cuffie, è il momento di godersi gli Shrapnel e il loro ultimo single "Non con la bajonetta!"


Slap.


Cerco di immergermi nella lettura di QED, ma quel rumore mi riscuote, mi snerva, mi disturba e mi conturba. Avrei voglia di prenderla per le spalle, strapparle la canottiera, congiungermi carnalmente con lei su quel sedile del treno, sotto gli occhi di suo padre e poi prenderla a sberle e staccarle quel maledetto pollice a morsi.


Slap. 


Come la tortura della goccia d'acqua, il piano inclinato della lussuria che diventa insopportabile nella sua provocazione inconsapevole. Ma guardandola meglio vedo solo una piccola narcisista viziata, che non è riuscita a scrollarsi di dosso un vizio puerile che si porterà dietro per tutta la vita e che la renderà un giorno una vecchia ridicola che si consuma il pollice ossuto sulla dentiera.
E' una questione di luce e di prospettiva, di rumore di fondo. Non c'è nulla di eccitante in quel gesto così eccitante. Nulla di bello in quella ragazza così bella.
Neppure che sia volgare, solo: dopo un po' costei annoia. Me ne ricordo parecchie di persone così. Che si succhiavano il pollice. Se lo succhiano anche adesso, non smetteranno mai. Come non smetteranno mai di accavallare le gambe per farsele guardare e di sfogliare riviste patinate. Ragazze belle come da Upim, che credono di aver scelto con oculatezza il loro sentiero e la gente che sta loro intorno. Altra gente-Upim. Il destino di chi si fa scegliere invece di.

E così abbiamo il barista che indovina la bevanda che vogliamo, il giornalaio che spaccia fumetti perfetti senza invecchiare, la corte dei miracoli in attesa sui binari, una giovane tedesca che cerca inconsapevolmente di sedurre il prossimo e una giornata grigia e senza acuti.
Ogni persona ha una sua peculiarità, una sua particolare abilità, una caratteristica innata. C'è chi la usa, c'è chi non lo fa e fa in modo che siano gli altri a usarla.
Il mio cane per esempio sa capire con assoluta precisione quando ho in mano un biscotto e quando no. E io so dire senza tema di errore alcuno se c'è una falena libera nel raggio di venti metri da me.
Ma non so capire se chi ho di fronte, in un determinato momento della giornata, vuole un buon caffè. E non so succhiarmi il pollice con tutta quella fastidiosa malizia.

Nessun commento:

Posta un commento