mercoledì 16 febbraio 2011

Quando piove ci si bagna

charlie_brown_in_rain
Diceva così il vecchio maestro zen. Inconfutabile, inappellabile e fuor da ogni sordido giro di ragionamento e parole. Ma la gente, si sa, gradisce assai lo zen da taschino, quello che si tira fuori per manomettere la motocicletta o per sopportare la suocera.
Lo zen e l'arte di piacere alle persone. Sì, come no, proprio un'arte...
Lo zen e l'arte del tiro al piccione.
Lo zen e la scomparsa di Majorana.
Ma andiamo con ordine, e diamo ciò che si deve dare a Cesare.
Stamattina -come tutte queste mattinate salse di febbrajo- non è stato facile levarsi dal letto. Sognavo: cani, anzi un cane. E volevo vedere come andava a finire. Poi i primi timidi raggi di luce si sono fatti strada tra le nuvole, tra le persiane, tra le coperte e tra le palpebre, e io, commosso da tanto impegno, ho deciso per una risoluta scrollata alle coperte.
Fuori pioveva. Una giornata uggiosa, per dirla col Morto, già finita prima di iniziare.
Il tempo dedicato alle abluzioni e alla colazione mi ha consentito di apprezzare un certo qual filo di rugiada (in realtà: acqua piovana) che faceva sembrare la finestrella del bagno, con le sue sbarre, simile a quella della prigione di Cagliostro, dove fu rinchiuso (giustamente, quel fanfarone) dal mio caro trisavolo.
Ma le visioni pseudorosacrociane sul religioso erano indotte -e lo sapevo- dalla lettura di quel borioso di Eco. Dioceloconservi.
Una tragica spremuta, un caffè, ed ecco che ero tornato alla mia dimensione: Napoleone ad Austerlitz, che contempla con occhio serafico il campo di battaglia che si stende come un tappeto di caparbietà ai suoi possenti piedi.
Dalla finestra: l'eco lontana di colline nascoste dalla bruma della mattina, la cara nebbia di guerra che Von Clausewitz amava tanto raccontare, e più vicini palazzi anneriti dall'acqua, e sotto persone, PNG dolenti, sommersi dalla scostanza della meteorologia.
Un traffico fine a sè stesso, un baccanale di ombrelli, colonne intere, batterie di macchine con le ruote prese nel fango mentre tentano l'invasione della Polonia via Le Cure. Perchè, punto primo, quando piove si va in macchina.
Poco importa se devi andare a comprare le sigarette o ad accompagnare il figlio a scuola, l'acqua è nemica dell'uomo, e ci si intasa allegramente sul viale, strombazzando lieti.
Anzi, magari, in realtà si strombazza seccati, anche un pò stizziti, senza considerare il fatto che una delle cause dell'ingorgo siamo proprio noi, quindi inutile far mùggire la mucca: nessun'uomo è un isola pedonale, quindi non chiederti mai per chi suona il clàcson: esso suona sempre per te.
Il traffico stradale fa sempre un po' il paio con quello pedonale: pochi eletti, arditi corpi scelti tra la soldataglia motocarrozzata, tentano le impervie vie dell'acciottolato per intrufolarsi tra le linee, armati di ombrelli variopinti ed inutilmente ingombranti.
Il risultato: una ridda di cerchi colorati, una tonnara di passanti (radi) che nonostante l'esiguità del loro numero si intralciano l'un l'altro, agganciando maglioni a collo alto e cercando di cavare gli occhi al prossimo con quei dispositivi demoniaci che sono le stecche dell'ombrello.
Dico io: possibile che nel 2011 si riesca a progettare una sonda che raccatta cacca ancestrale e silicati assortiti sulla superficie di Marte e non si possa generare un ombrello che non rischi di trasformare chi passa in un Achab da marciapiede?
E intanto la buriana soffia, Moby Dick ci schizza con le sue ruote da 600 pollici e noi iniziamo a districarci stizziti ed arrabbiati per le vie pedonali che ritenevamo (hèlas) sicure.
Poco da farci: anche qui la colpa è nostra, nessun'uomo eccetera eccetera, e ci si risolve ad invocare sottovoce le qualità più terrene della madonnina, mentre salamelecchiamo cenni di scusa ed emettiamo borborigmi che dovrebbero suonare come convenevoli più o meno diretti al nostro prossimo.
Pèèèèèèèèè, mi richiama alla realtà (in questo esatto momento) l'orda di bestie cilindrate, mentre il capobranco giallo ed enorme, l'ATAF alfa, guida la rivolta, inceppato in una curva troppo stretta.
E' il miracolo della natura umana: andarsi ad infognare con le proprie mani.
Sia lode a Gesoo, brindo a questo.
E come se non bastasse, ci si mette anche la natura.
Che, se non ce ne fossimo accorti, sta piovendo. Arriva l'umido, arriva l'arietta malsana, e ci porta in regalo una calza piena di starnuti, malditesta, reumi e giramento di coglioni immotivato e preventivo.
Tutto questo contemplo, dalla mia collina, col tricorno bel calcato sui capelli radi.
La spalla mi duole, perchè ho la periartrite e la periartrite esce fuori col cambio di stagione. E un moto di commozione mi unisce a quelle vecchie ciabatte che alla prima nuvoletta si sentono bloccare la cervicale, accusano il dolore al callo e si pisciano addosso.
Siamo una generazione di meteoropatici, affibbiamo al barometro il variare del nostro scostante umore e impiccheremmo Torricelli per i dolori che sentiamo alle vituperate membra.
Come se fosse colpa sua.
La pioggia trasforma la nuda terra, calda e fragrante, madre di tutte le cose a noi note (come il caffè e la tecnocrazia) in vile fango, in spumentosa motaggine, in quella pappetta composta dai nostri fiori blu, e non me ne voglia il signor Q.
I cani sanno di chien mouillè, le cacche si liquefanno sui marciapiedi, i bar si riempono di gente umidiccia e trasognata, di auto e di ombrelli ne abbiamo già parlato, e sopra tutto ci resta un'indefinita sconsolata sensazione di inadeguatezza e di perdita.
Ma lo sapete perchè?
Perchè quando eravamo piccoli, se pioveva non ci facevano uscire a giocare.
E siamo rimasti tutti chiusi in casa a guardare la pioggia che rigava le finestre, senza poter farci nulla.
Perchè quando pioveva la gita della domenica era annullata.
Perchè quando pioveva non si andava al mare.
Perchè quando pioveva bisognava tapparsi e il meglio che ci poteva capitare era di uscire per forza, magari per andarsi a comprare un maglione di lana (di quelli che bucavano anche con sei magliette sotto) o per farsi trapanare un dente dal dentista.
Perchè siamo stati traumatizzati, e ormai non si vede più il vero assunto fondamentale, il succo della questione.
Volete lo zen da taschino?
Ve lo do io: inutile l'ombrello, inutile la macchina. Inutile correre tra un balcone e una tettoia, per evitare il fortunale.

Quando piove ci si bagna. Tutto qui.

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