martedì 1 febbraio 2011

Doctor, me muero?








Doctor, me mueroL'umanità non è un granché. Per questo la malsopporto nella maggioranza delle sue declinazioni. Tollero con sufficienza i pomposi, gli stupidi, i bigotti, gli ipocriti, gli spostati, i negri, i razzisti, i falsi perbenisti, i veri perbenisti, i dinamisti, i fisici teorici della gravità quantistica a loop, quelli coi capelli rossi, quelli troppo alti, quelli troppo grossi e i rastafariani.
E un sacco di altra gente.
Questo dovrebbe darvi un quadro su che tipo di considerazione dell'umanità possa avere Colui Che Scrive e dovrebbe dare un senso alla parola “misantropia”. D'altronde, se non lo farà, è perché probabilmente rientrate in una delle categorie di cui sopra, per cui vi invito a sospendere la lettura seduta stante, accendere la tivvù e non tediarmi oltre.
L'umanità è povera cosa, e ovviamente questo si riflette anche sulle varie categorie professionali che si possono incontrare. Su ceppi interi di tali categorie, direi. Non voglio fare l'esempio della categoria ministeriale, sarebbe troppo facile. Specialmente in questo periodo, così gravido di bagasce, un vero periodo di vacche, magre o grasse che siano.
Farò un esempio migliore, prendendola alla larga, per introdurre un secondo esempio che ne introdurrà un terzo. Così, come in un giochino di Matrëške, perchè così mi piace e pare e oggi mi sento particolarmente arrogante.
Prendiamo allora, così, en passant, il caso di quella povera tapina di Yara. Il dramma di questa bimba mi tocca molto, anzi, direi che aggiunge una nuova categoria alla lista di persone che odio. Gli sciagurati che chiamano i figlioli con nomi di macchine, eroi mitologici e divi del cinematografo. Yara. Povera creatura, tredici anni trascinati a chiedersi perché mai mammà e babbò abbiano scelto il nome della propria pupilla sfogliando il catalogo di una ditta norvegese di concimi a base di urea (e se non ci credete, chiedetelo a google).
A questo si aggiunge il secondo dramma della sparizione, come direbbe Wiggum: "nu dràmm', nu dràmm' 'n copp 'a tragedia!". Domanda del secolo: dove sarà finita? Ed ecco che si mobilitano schiere di scienziati, biologi, specialisti ematici, detectives, psichiatri e psicologi forensi, criminologi. Si stilano profili del criminale, si cercano tracce biologiche di ogni tipo, si vagliano testimonianze...
No, macché.
Siete pazzi? Qui siamo in Italia. La scena del crimine (se crimine c'è stato) è stata completamente ignorata, nessuno ha stilato alcun tipo di profilo psicologico, l'unico teste è stato completamente ignorato per un mese. Però ci siamo affidati ad un marocchino col cane da tartufo e a un pajo di medium e sensitivi.
Ecco, devo aggiungere altro? Devo ancora insistere col fatto che l'umanità è povera cosa?
E vi direte: dove vuole arrivare? Da nessuna parte, dico solo che l'imbecillità non solo è incurabile e trasversale, ma ci consente di creare anche intere categorie di dementi specializzati in campi particolarmente ristretti. Il che è comodo, quando dobbiamo puntare l'indice e prendercela con qualcuno.
Ad esempio coi medici, e qui siamo al secondo esempio. In questa categoria, per quanto persistano degli stagnini senza ritegno che hanno la preparazione e la professionalità di un bifolco dell'Ovestfalda, solitamente è più difficile trovarsi di fronte all'incompetenza più pura.
Certo, c'è chi ancora crede nel giuramento di Ippocrate, che vieta di somministrare farmaci mortali e di curare i calcoli renali, ma alla fine siamo nel 2011, insomma, certe cose si superano.
Ma la medicina è un campo interessante di studio, perché teatro di una delle involuzioni umane più caratteristiche: quella sul religioso/superstizioso.
Mi spiego: la caratteristica che fa dell'uomo un uomo è tre cose (la capacità di sintassi NON lo è, e io la ignoro quando mi pare). Uno: l'uso della parola. Due: la consapevolezza della propria mortalità. Tre: un paio di testicoli.
L'essenza dell'Umanità consiste quindi nell'espressione contemporanea di queste tre caratteristiche: parlare di morte toccandosi le palle.
Ed è quello che facciamo un po' tutti. Tutti abbiamo paura della morte, cerchiamo di evitare il pensiero finché non ci arriva addosso come una tonnellata di mattoni, e ci affidiamo completamente alla benevolenza del creato.
Sì, larillallero.
Il fatto, e qui si arriva al fatto, è proprio questo.
Ovvero: una delle cose che più odio al mondo.
Prendete un malato qualsiasi. Di una malattia curabile ma grave, che so, una bella legionella. Il suddetto tapinastro se ne andrà dal dottore, con sulle labbra l'angosciosa domanda: “Dottore, mi muoro?” Questi allora farà anamnesi, esami e diagnosi. La diagnosi della malattia, con relativa prognosi, precipiterà il lòcco nello sconforto. Ahimè, che mi affido alle cure di un medico, ed ecco che mi trova una brutta malattia...
E sotto con le cure, a più non posso, frutto di millenni di ricerca speziale e chimica. Vancomicina, paracetamolo, penicelline, digitale, clisteri, codeina, lidocaina, gentamicina... e perchè no, ad un certo punto spunta una bella statuina di Padrepio. O una foto della madonna. O un cero acceso a Sant'Anaclezio.
Certo, la scienza medica è una bella cosa, anche i preti corrono a curarsi all'ospedale quando si ammalano, ma mica rinunciano alle preghierine.

Oh, buon Dio, fa' che al chirurgo non tremi la mano, mentre guarda le pvppae dell'infermiera”.
E qui si prefigurano due scenari, ed è qui che -in entrambi i casi- mi incazzo.
Primo scenario: il povero bischero guarisce. Ed ecco un florilegio di ringraziamenti a Gesoo, alla madonnina, a san bècco, a Dio, agli arcangeli e a Don Frustando che ha pregato per noi.
Sì, grazie tante. Grazie delle cure, delle iniezioni di eritromicina che hanno sconfitto la Pneumophila, grazie tante davvero. Sarebbe da invitare questi gagaroni a curarsi presso la più vicina sede della Chiesa Antibiotica Romana, la prossima volta.
Il secondo scenario è ancora più sconcertante. Perché concerne il povero bischero che muore. E qui si assiste impotenti al peggior rovesciamento del fronte della responsabilità dai tempi dell'invasione tedesca in Russia. Sì, perché se la guarigione è da imputarsi a Dio (o comunque a chi ci ha messo qui), la morte è esclusivo appannaggio della malasanità, dell'incapacità della scienza di fronte alle malattie e dell'errore del medico.
Eh, certo.
Abbiamo vinto, hanno perso, stessa roba.
Logica invece vorrebbe che l'attribuzione di colpa fosse univoca e non trasferibile, come gli assegni. Che io guarisca o muoia può essere colpa o merito della medicina e del medico. Certo, se vi capita un medico cane o corrotto, oppure la macchina per le fleboclisi prende vita e vi strangola, ecco che la colpa ricadrà sull'umano consesso.
Che io guarisca o tiri il calzino potrebbe anche essere merito e colpa del divin augello, e allora si può interpretare il tutto come dio che guida la mano del medico, l'angelo che ci sorveglia, il cielo che ci chiama a sé e tutto il resto di manfrine atte solo ad addolcire il trapasso e dare un senso a tutto questo merdajo.
Io sono determinista per natura, quindi propendo per la prima. Ma voi fate un po' come vi pare e come vi detta la coscienza. Basta che non mescoliate il culo e le 40 ore, e che scegliate un'attribuzione di responsabilità che non sia passibile di travasi e non sia suscettibile al decorso del malanno.
Ma lasciate che vi lasci (lo so che è ridondante, ma pensate a quanto lo siete voi) con questo suggerimento.
Finora ci siamo concentrati su chi ringraziare di una nostra eventuale guarigione o dipartita, se il medico o la caritatevole madonnina.
Chiedetevi un'ultima cosa.
Chi dobbiamo ringraziare per averci fatto venire questa bella grana polmonare?
Probabilmente noi stessi, o il caso... ma se credete nella caritatevole madonnina, allora...

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