mercoledì 22 dicembre 2010

Ha nevicato, Lello...



evil_santaEra il 1985, ancora dovevo compiere un lvstro, e venne giù la neve. Che per noi, alle nostre longitudini (perchè è una questione di longitudine a questa latitudine), era una bella novità. Non mi ricordo le reazioni del popolaccio, quella volta, ovviamente. Benchè mi ricordi esattamente il punto in cui costruii il mio primo pupazzo di neve, e che tipo di guanti e sciarpa indossassi allora... e forse è proprio questa mia memoria eidetica a costituire un intralcio alla mia vita sociale...
Ma sto divagando.
Mi ricordo invece molto bene della nevicata del 2010. Mi ricordo di essermi svegliato la mattina e di essere uscito a fare colazione in mezzo a sguardi: perplessi e preoccupati. La bella Elena del Bar, che mi sveglia con i suoi cappuccini tutte le mattine, ha commentato "Speriamo bene", volgendo lo sguardo al cielo come se fosse solcato da incrociatori alieni nel giorno dell'Indipendenza, e Will Smith ancora non si fosse fatto vivo. Sono rientrato in casa e mi sono messo a scrivere, e dopo due minuti ha iniziato a nevicare con foga, con cattiveria, come a voler seppellire Sodoma e Firenze sotto palle di neve e ghiaccio.
E' andata male, funzionava meglio il fuoco, però in un pomeriggio è successa la magia. Gli sguardi delle persone sono diventati: allegri e solidali.
Passato il momento di imbarazzo, passati i disagi e la paura per chi si è ritrovato in mezzo ad un fortunale, assediato da lupi e bande di orchetti, mentre cercava di tornare all'ovile dopo il duro lavoro, la mattina dopo ed anche la sera stessa gli sguardi delle persone erano: felici senza motivo.
Oh, giubilo, il giorno dopo la gente sembrava uscita da un cartone animato della Disney. Tutti si salutavano, si scambiavano battute come in quei film americani degli anni cinquanta, in quelle cittadine dove si conoscono tutti, e gli uccellini morivano assiderati con il sorriso sulle labbra (licenza poetica). Una cosa che scalda il cuore, un trionfo Deamicisiano, la prima nevicata di sapa della storia dell'umanità.
E' durata quasi tutto un pomeriggio, roba da non crederci, prima che si tornasse agli sguardi: diffidenti ed indifferenti.
Già il secondo giorno, con mia grande soddisfazione, i personaggi non giocanti (PNG) avevano ripreso la loro consueta attitudine ad ignorarti se non provocati, e le vecchie al bar e al supermercato erano tornate -dopo una breve metamorfosi in candide nonnine- quelle vecchie arpie antipatiche e pretestuose che tutti noi adoriamo.
Oh, giubilo, l'umanità non si è smarrita: è sempre inutilmente cattiva ed astiosa come prima, e io posso odiarla senza sensi di colpa.

Ma un bel gioco dura poco, ed ecco che questa nevicata repentina, questa fuga di notizie in bianco dall'alto dei cieli, tramutata in poltiglia e fango simili allo sterco degli angeli, è stata rimpiazzata dal calendario.
Ed è subito Natale. La festività fasulla durante la quale il testimonial della Coca-Cola distribuisce doni ai bambini ricchi e carbone a quelli poveri. Il risultato, un umanità schizofrenica, in preda alla paura il primo giorno, alla bontà il secondo, al disinteresse il terzo, alla cattiveria il quarto e di nuovo alla bontà il quinto. Evviva, oh giubilo!
Si rivedono le pubblicità per bambini in TV, dopo che per tutto l'anno sono stati pubblicizzati prodotti per il nuovo target commerciale: il single di successo. Ma natale è il natale delle famiglie, il single è pregato di non disturbare la lotta agli acquisti fino ai saldi, grazie. Oggi si regala bontà.
E qui si arriva al punto.
Si deve essere buoni perchè è natale. Ci inteneriscono la carne e il cuore con mille musichette, coi film, i cartoni animaLi, le trasmissioni, le storie strappalacrime, ci telefonano i parenti che non sopportiamo, i commercianti ci fanno gli auguri mentre guardano il nostro portafoglio, cercando di pesarlo con gli occhi. E noi ci sentiamo così buoni, con quel calore dentro come quando ti va giù intera una fetta di roastbeef per un colpo di tosse. E si attiva in noi il condizionamento imperiale: natale è la gioia del dare! Natale è la festa del Bene supremo, l'anniversario della sconfitta di Mordor sui campi del Pelennor, la nascita del redentore sui sedili posteriori dal SUV che trasportava la sacra famiglia da Betlemme a Nazareth, e BISOGNA essere buoni, e per essere buoni bisogna DARE. E per dare, va da se, bisogna comprare. E noi si compra, ci mancherebbe altro. Sennò che figura ci si fa? Compriamo vestiti, libri, aggeggi, ammenicoli, stampe, quadri, gioielli, collisori adronici, strumenti musicali, termometri rettali, papaline, consolles, films, schiavi... d'altronde, anche i tre re magici dovettero presentarsi al Re dei Nonmorti a mani piene.
Anche se mi sono sempre chiesto che ne avrà fatto il padre putativo di Gesoo di tutto quell'oro... forse ha fatto qualche cattivo investimento, perchè mi pare che si sia ritrovato più povero di prima... sempre che non si sia giocato tutto in sala corse.
Ma sto facendo di nuovo il dottor Divago.
Il punto è: tra poco anche il 25 dicembre si scioglierà sotto un freddo sole invernale, e lascerà dietro di sè stracci di carta da pacchi a marcire nelle strade. La gente tornerà normale, astiosa e sempre incazzata, così, senza motivo. Insoddisfatta, nonostante gli acquisti fatti e quelli ricevuti. Vuota, pigra, stupida, egoista ed arida e -per questo- molto, molto sola.
Perchè la gioia non è ricevere, ma neppure dare. Ci hanno fregato, ci stanno fregando. Macchè dare e dare. Macchè comprare e regalare. La gioia è un'altra cosa, ma non starò qui a dirvi cosa, perchè sono solo un vecchio misantropo e non so di cosa stia parlando.



Scriveva Endo: siate gentili più che potete con chi è importante per voi, e crudeli con tutti gli altri.
Questa è sanità mentale, il resto sono pinzillacchere che mi fanno venire la gastrite e il blocco dello scrittore.



Buon Natale a tutti voi.

martedì 14 dicembre 2010

Tutti i miei broccoli.



broccoliFeynman era un uomo come pochi.
Dotato di vivo intelletto, di senso critico ed estetico e di grande ironia. Uomini così nascono ogni 62 anni.
Nel corso di una famosa intervista affermò, in risposta a chi definiva la fisica troppo "arida", che proprio chi cerca di penetrare i segreti e la struttura più fine della natura può godere delle meravigliose forme dell'universo molto più di chi si ferma alla superficie.
Un altro grande uomo, Mandelbrot, morto soltanto due mesi fa, disse che "Meraviglie senza fine saltano fuori da semplici regole, se queste sono ripetute all'infinito".

Prendiamo ad esempio il vilissimo cavolfiore romanesco, oggetto di olenti pietanze, volgarissima pianta da orto conosciuta dall'umano consesso sin dall'alba dei tempi. Sappiamo tutti che, a dispetto delle sue plebee origini, questa pianta conserva in sé una nobiltà d'aspetto invidiabile: elegante, nelle guglie delle sue infiorescenze, che si ripetono uguali all'infinito come le parole di Capezzone. Il colore, l'armonia, tutto in lui -a parte l'odore- è degno dell'attenzione di poeti e cantori.
Ma.
Se vi venissi a raccontare che tutti quei piccoli grumi sulla sua superficie, che a tutti è dato vedere, si ripetono con le stesse identiche proporzioni all'infinito, con un collegamento a spirale, fino ad arrivare a dimensioni microscopiche, conservando nell'insieme la struttura originale, e che proprio questo genere di simmetria, denominato autosimilarità, è alla base dello studio sui frattali del sopracitato Mandelbrot, vi avrei guastato la festa?
Se vi dicessi che la meravigliosa morfologia del cavolo romanesco è il risultato di algoritmi ricorsivi espressi in funzioni come an+1=a2n+P0 , avrei forse distrutto l'incanto che la vista del broccolaccio ha elicitato nelle vostre menti? Oppure il lavoro del franco-polacco Mandelbrot ha aperto per tutti noi una nuova finestra dalla quale guardare l'orto con una diversa prospettiva?



D'accordo, non vi piace il cavolo? Neanche a me. Però siete veramente stucchi.



Facciamo un altro esempio, allora.
Il girasole, o elianto che dir si voglia, è un altro vegetale sorprendente. Tutti noi lo conosciamo per la peculiarità di volgersi nella direzione del sole che sorge e di seguirlo (più o meno) durante il suo cammino, caratteristica che lo rende simile in maniera inquietante (almeno per me) ad un Trifido. Mai avventurarsi da soli in un campo di girasoli. Lo conosciamo per il suo colore giallo, per il suo olio di dubbia qualità, per le sue dimensioni esagerate.
Bene, alcuni sapranno che in realtà quello che noi chiamiamo "fiore" di girasole altro non è che l'insieme di tanti piccoli fiorellini. Ma pochi saranno a conoscenza del fatto che la sistemazione di questi fiori nel disco segue la regola della sezione aurea, e che il numero di spirali orarie ed antiorarie che si ottengono con questo schema si ritrova nella successione di numeri di Fibonacci (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e così via...), e sono di norma 34 in un senso e 55 nell'altro, per arrivare a 89 e 144 negli esemplari più grandi. Mai una di più, mai una di meno.
Se non è meraviglioso questo, non so cosa lo sia.
D'altro canto, anche chi non aveva strumenti scientifici o matematici per arrivare a comprendere l'essenza della natura, provava comunque a spiegarsi la genesi della bellezza attraverso il mito. E quello che riguarda la nascita del girasole ci racconta di una ninfa, di nome Clizia, innamorata del dio Apollo. Ma lui non la guardava nemmeno, tutto preso a corteggiare Leucotoe. E quando il Dio del Sole, con uno stratagemma, riesce a concupire l'oggetto del suo desìo, la povera Clizia -preda della gelosia- spiffera tutto al padre della traviata, col risultato di far seppellire viva Leucotoe (all'epoca ci andavano giù pesanti per poco) e di far infuriare Apollo. La ninfa allora, sempre più depressa, passa le giornate a guardare il suo amato correre su e giù per il cielo, deperisce vieppiù, finché muore consumata dal dolore, tramutandosi in girasole.

La storia che ci raccontano i greci non è meno bella di quella che ci raccontano Feynman e Mandelbrot. E non mi metto a parlare di quelle che potrebbero raccontarci fisiologi e chimici sul funzionamento delle piante a livello cellulare o su cosa nascondano al loro interno i prodotti da esse ricavati che noi comunemente ed impunemente utilizziamo nella vita quotidiana. La fame di conoscenza, l'essere curiosi, sono le uniche caratteristiche che ci distinguono dalle fiere e dai leghisti. Chi rinuncia a questo, chi si accontenta di grattare la scorza, chi sbuffa davanti alle spiegazioni da "secchione" per la paura di affaticarsi l'intonsa corteccia cerebrale, come quelli che lasciano la plastica intorno al divano, si priva di una delle più grandi gioie della natura stessa, che consente di essere odorata, guardata, lusingata, assaporata, ma anche compresa e svelata. Ed è buona norma ringraziare chi -con il suo lavoro e la sua dedizione- ci spalanca le porte dei sensi, consentendoci di vedere dove prima c'era solo la fitta nebbia dell'ignoranza e di allargare le nostre prospettive e i nostri interessi.

Senza ombra di dubbio, chi sa sa, e ne gode anche, a livelli più alti e più profondi di chi soltanto guarda.
Chi non sa, insegna.
E chi non sa neppure insegnare, scrive.

lunedì 6 dicembre 2010

Di sirfidi e di altre bestie

mistbieneNella scala degli esseri più schifosi che popolano la terra, il primo posto spetta senza ombra di dubbio alle falene. Spregevoli esseri nottivaghi, dall'andamento probabilistico e dal volo incerto, che nella migliore delle ipotesi possono far schiantare il loro corpo tozzo e peloso dritto sulla testa di qualche malcapitato. E nella peggiore, infilarsi in quel pertugio tra collo e colletto, attentando alla sanità mentale di chiunque ne sia ancora in possesso.
Ecco, ora sapete il mio punto debole.
La piazza d'onore spetta a Bondi, e poi via via in ordine decrescente, troviamo le altre forme di vita più o meno spregevoli ed orride come scorpioni, tenie, ragni pelosetti e così via.
Ora, dopo quello che si è detto, una Eristalis Tenax apparirà come un morbido peluche della Trudi.
Ma che cos'è una Eristalis Tenax?
E' una di quelle creaturine furbe che si travestono da altri animali più dotati per sfangarla nella corsa per la sopravvivenza. Piccola, debole, inadatta alla lotta, la piccola Eristalis è un dittero (quindi: più o meno una mosca) che usa la colorazione delle api per cercare di farsi rispettare.
Un pò come quando io mi metto la cravatta.
Questa piccola bricconcella non fa male a nessuno, e neppure ha abitudini disgustose come la mosca comune: si nutre infatti di nettare, che succhia dai calici dei fiori con la sua proboscide. Ma che carina.
Peccato che la prole di questa "mosca" sia composta da delle piccole figlie di puttana, larve dette "a coda di topo", aggressive, spregevoli e vigliacche.
Oltre a barare a tresette, a fare la spia e a rigare le vetture, le larve di Eristalis possono parassitare gli intestini dei mammiferi (anche se di norma non lo fanno) fino a perforare la carne della povera bestia e sbucare fuori... roba che nemmeno Romero nei suoi giorni migliori.
Ora direte: bello, ma se volevo sentire Albertoangela accendevo la tele e guardavo Quark (ah, poi si parlerà anche dei quark, prima o poi, contenti? Mi sembra già di sentire le grida di jubilo). Allora io vi dico: qualche giorno fa, la settimana scorsa, mi sono alzato col solito giramento di palle che ormai non mi abbandona più, specie nelle fasi di risveglio, e sono entrato barcollando in cucina. Entrando, il perfetto funzionamento del sistema nervoso autonomo mi ha permesso di identificare un corpo estraneo sul pavimento ed evitarlo alzando un piede come l'Orso Ballerino senza neppure svegliarmi. Dopo aver bevuto il caffè, ecco che la frenetica attività dei neuroni mi ha ricondotto -però- a considerare che:
1) c'era un corpo estraneo sul pavimento;
2) proprio la sera prima avevo sentito un ronzone (N.d.T.: si tratta di un qualsiasi animale non identificato che ronza) in cucina;
3) che quel corpo estraneo poteva appartenere al ronzone, e che quindi ero in gravissimo pericolo.
Compiacendomi della perfetta logica del mio Aristotelico ragionamento, mi sono avvicinato alla "cosa" e ho scoperto che si trattava appunto della nostra piccola Eristalis. Le ho dato un colpetto poco convinto con la punta della babbuccia, e lei ha emesso un debole ronzio, rovesciata sul dorso.
Ecco, ora si arriva al punto. Si da il caso che io sia una persona estremamente pragmatica, ma anche estremamente toppona. Da un lato sapevo che la piccola sirfide stava spirando in conseguenza del naturale corso della natura: fa freddo, le bestioline muoiono. Inoltre, meglio lei che me. D'altra parte, si tratta di un troiaio senza importanza. Però... però mi dispiaceva prenderla e buttarla dalla finestra, a morire schiacciata da un piede. Senza pensarci su, l'ho presa e l'ho messa in un barattolo di vetro. Le ho messo dentro acqua e zucchero, che ha succhiato con avida riconoscenza. L'ho tenuta al caldo finchè non si è retta sulle sue sei zampette. E poi ho aperto la finestra, l'ho posata sul davanzale e l'ho guardata ronzare via, verso la morte certa.

Ora. Perchè mi sono preso la briga di farlo?
Per curiosità. Per sentirmi una sorta di divinità degli insetti. Perchè non avevo niente di meglio da fare. Per scrivere questo post. Sono tutte ottime risposte.

In realtà l'ho fatto perchè tutti noi avremmo aiutato un povero cucciolino infreddolito di gattino. O un cagnolino abbandonato. O un passerotto caduto dal nido.
Nessuno aiuterà mai un ratto, un rospo, o un tafano.

Ecco, questo mi fa incazzare. La piccola Eristalis
magari doveva fare le sue uova in qualche posto lurido, e far nascere le sue schifose larvette. E' la sua vita. Se lo merita. L'ho fatto perchè potevo farlo, perchè ero libero di aiutare un essere vivente a compiere il suo ciclo. Un essere vivente che -esattamente come me- non ha artigli affilati, non ha una stazza imponente, ma cerca comunque, senza nuocere a nessuno, di sopravvivere, magari camuffandosi -come facciamo tutti noi- da qualcosa che non è, per non attirarsi grane indesiderate...

Forse è sbagliato chiedermi perchè l'ho aiutata, forse dovrei chiedermi perchè non avrei dovuto farlo.
Comunque sia, se fosse stata una falena, l'avrei spedita dritta fuori, a raggiungere i suoi avi. D'altra parte sono umano anch'io.

martedì 23 novembre 2010

Il Gorilla e lo Scimpanzè, parte seconda

scimmiacheleggeEro appena andato in stampa, quando ho sentito un forte bisogno di tornare a ribadire il concetto.
Ne ho appena incontrato uno. Alla fila per la cassa, al supermercato. Ovviamente sto parlando di un gorilla. Un gorillino, per la precisione, di quelli col pelo matto.
Giacchetto sdrucito di pelle, caschetto ossigenato su di un paio di sopracciglia folte e spesse, unico complemento di una fronte inutilmente bassa. Andatura barcollante, dai piedi piatti.
Lo sguardo ebete dell'uomo che si stupisce -e ride- di ogni cosa, dall'incidente automobilistico fino ai comici di Colorado Cafè.
Le piccole cose che divertono le piccole menti.
Tutte le sue attenzioni erano concentrate sulla di lui troterella, una secchina vestita in stile finto-no-global: la accerchiava con le zampe anteriori, caracollava dietro di lei insistente, sciorinando risolini e cazzate nei suoi orecchi, mentre lei reagiva con la stessa indifferenza della leonessa che si sente mordere la coda da un cucciolo.
Finchè il brodo di piccione che gli culla il cervello non è stato agitato dalla vista di un libro.

Di quelli che vendono al supermercato, abbinati a qualche giornale.
Parmenide, c'era scritto.
Ha estroflesso una zampetta
e l'ha preso, incerto sul da farsi. L'ha guardato come se fosse una roccia lunare. Parmenide.
S'è messo a ridere, l'ha palleggiato come una pallina da tennis, l'ha soppesato e l'ha rimesso a posto.
Probabilmente l'ha valutato troppo pesante per schiacciarci le zanzare e troppo leggero per schiacciarci le noci.

Sono andato a comprare un saggio sulla battaglia di Lepanto pensando alla coppia di gorillini, che si accoppieranno e avranno tanti cuccioli.

Sono tornato a casa con la mente volta ad una generazione di persone che useranno i libri per zeppare le gambe dei tavoli traballanti

Il Gorilla e lo Scimpanzè, parte prima

gorillaDa piccolo avevo l'abitudine di mettermi il cibo nel piatto e tagliarlo tutto in tanti bocconcini perfetti, prima di inizare a mangiare. Mio padre allora mi guardava di sottecchi e mi faceva: "Se fossi stato in un collegio, ti avrebbero rubato tutto il cibo dal piatto mentre lo tagliavi. E non avresti mangiato nulla".
Forse da qui viene la mia gelosia per il mio piatto. Quello che c'è dentro è MIO e se qualcuno osa solo provare a metterci dentro le zampe... ma questa è un'altra cosa, che forse fa il paio anche con quella sensazione di disagio che provo nel mangiare in pubblico, per la strada, e che mi porta a percorrere chilometri col cibo in mano, guardingo, finchè non ho trovato un angolo che mi si confà per mangiarlo tutto, e di corsa. Probabilmente nella vita precedente ero un cane, chissà... le mie "Vite parallele" sono di Pluto e non di Putarco.
Ma torniamo a bomba.
Quanto detto prima si può riscontrare anche in natura: facciamo l'esempio del Gorilla e dello Scimpanzè. Ovvero, di una scimmietta piccola e astuta e di un esserone incazzoso e manesco. Lo scimpanzè vede un bel casco di banane in una posizione inaccessibile. Prova ad arrampicarsi e non ci riesce. Si caccia un dito nell'orecchio, gratta bene, poi si infila il dito nella bocca, denotando se non altro una certa mancanza di gusto e di bon ton. Ma non si da per vinto. Al contrario del gorilla che, magari dopo aver provato anche lui ad arrampicarsi, emette un poderoso rutto, getta uno sguardo indifferente al casco di banane irraggiungibile e se ne va, lo scimpanzè PERSEVERA finchè non ha trovato la quadratura della banana. E la trova: accatasta una serie di tronchi d'albero, di rami secchi, di sassi, di quel che c'è, e tutto fiero ci si arrampica sopra raggiungendo finalmente le banane. Mentre se ne torna giù tutto giulivo e garruletto ecco che arriva il gorilla, gli rifila un paio di sberle, gli strappa le banane di mano e se ne va lemme lemme, cacciandosi in gola il malloppo senza nemmeno sbucciarlo.
Lo scimpanzè non si perde d'animo, poveretto, ed è fortunato. Non riesce ad immaginarsi che ogni volta che aprirà una noce di cocco una manona lo agguanterà per la collottola per scaraventarlo lontano dall'agognata polpa. Non sa che ogni volta che scoprirà una nuova sorgente d'acqua si dovrà fare da parte per permettere al bruto di turno di sciacquarsi piedi, mani, faccia, glutei e sottoglutei, prima di poter bere un sorso di quella fanghiglia ormai putrida. Poverino, però, che esistenza grama.
Se non avete l'abbonamento al National Geographic Channel o non avete voglia di andare nel Serengeti, nel Ruwendori, nell'Antaniland o in uno qualsiasi di questi parchi esotici e così à la page, potete sempre cimentarvi nell'osservazione dei cugini più stupidi dei primati: la Gente. Il meccanismo è sempre il solito: la lotta nella società, in quella dei bassi livelli, intendo, è la stessa che intercorre tra gorilla e scimpanzè. Ecco che s'avanza il cafone di turno, coi pettorali in mostra, la coda di pavone infilata nel deretano, la forza bruta da toro. Sbuffa dalle froge, sbava se gli chiedi che ore sono tra due ore, ti minaccia se non capisce cosa stai dicendo, anzi ti minaccia sempre -a prescindere-, insomma, fa il grosso solo perchè è grosso. E come d'incanto, tutte le porte si aprono, tutte le donne cascano ai suoi piedi, tutti i lavori gli vengono offerti. Una vita in discesa, campando solo sulle spalle di tutti gli scimpanzè che gli risolvono le grane. Perchè il gorilla fa colpo sul momento, ma poi essendo un completo inetto si trova nei guai. Ma ne esce sempre pulito, ostentando sicumera, facendo lo spaccaculi, scaricando il barile, al limite minacciando. La femmina di Gente media lo lascerà dopo un mese, il gorilla picchierà qualcuno più piccolo di lui, poi si batterà il petto e si gratterà i poderosi attributi, e lei, abbagliata da cotanta prova di virilità, lo reclamerà indietro. Spesso un gorilla solo riesce -inspiegabilmente- a mantenersi un harem di 2-3 (o anche più) femmine di Gente per volta. Così. Come inspiegabilmente un datore di lavoro preferirà sempre affidare una buona posizione al maschio prestante: tanto per risolvere i problemi c'è qualche scimpanzè sottopagato. Il gorilla ti seleziona all'ingresso del locale e non ti lascia entrare, perchè non sei grosso come lui. Il gorilla ti taglia la strada in macchina e poi ti minaccia. Il gorilla viene a cercarti quando ha bisogno di aprire una scatoletta di tonno e non trova il martello. Il gorilla non si merita nulla e ha tutto. Almeno nella maggiopr parte dei casi ha più di quello che dovrebbe avere.
Poi si dirà, ma in fondo è gentile, ha un gran cuore. Invece lo scimpanzè è subdolo, perchè deve arrabattarsi col cervello per sopravvivere, invece di affidarsi ai bicipiti, e il cervello -si sa- è un'arma sporca, infida e traditrice.
Nella società dei gorilli (si lo so, ho scritto gorilli, con la i finale) funziona così. E chi mi viene a dire che nell'Antaniland i gorilli e gli scimpanzè neppure si guardano e vivono d'amore e d'accordo è un bugiardo in malafede.

martedì 9 novembre 2010

Estimated Cooking Time: 9 minutes

Estimated Cooking Time: 9 minutesNon bisogna vergognarsi di ammettere le proprie necessità, in particolar modo le necessità fisiologiche. Questa piccola considerazione si potrebbe riassumere con: tutti hanno bisogno di fare la cacca. E proprio a questo delicato piccolo intervento di espulsione mi accingevo stamattina, con una certa quale ansia scaturita dall'ingestione -ahimè, improvvida- di un cappuccino bollente mit sfoglia alla mela al bar distante due isolati e quattro ripidissimi piani.
Mi sono sentito assai furbo, però, per essermi dotato in via preventiva di una bella Settimana Enigmistica, comprata al supermercato quasi di slancio (io al supermercato compro SOLO cose che si mangiano) e rivelatasi all'improvviso l'acquisto risolutivo.
Quando si dice: fai lavorare l'inconscio.
Insomma, per farla breve, mi accoccolo sul trono di ceramica, mi rilasso, e prendo in mano le parole crociate. E proprio in quel momento, ecco che l'occhio mi cade sulla cesta delle riviste. In realtà non è una cesta, ma un secchio di plastica, di quelli da spazzatura, per intendersi, pieno di carta da lettura e di carta da culo. Così, alla rinfusa.
Copertina di nota rivista da fìe: solito attore circumquarantenne italiano con barbetta finta-trasandata, sguardo alla "vieni qui che te lo fo vedè io come ti troNbo, ma sono anche un gran romanticone, e ciò un sacco di vaìni" (insomma, il classico tipo che garba alle tipe), in bianco e nero post-artistico che sta bene su tutto tranne che sulle foto di culinaria e attorniato da una sfilza di titolini e titoletti di articoli (?) sul problema annoso della cellulite in Jessica Alba, le grane relazional-sociali di Ratatatangelo e Elioellestorietese, gli amori di qualche nuovo budellone e così via.
Valuto.
Effettivamente le parole crociate di mattinata non sono proprio abbordabili, dato che ieri per mettere metà definizioni del Ghilardi ciò messo due ore. La Rivista invece può darmi quel bel senso di soddisfazione adatta al momento maieutico e non coinvolgermi troppo il sovraccarico ceppicone. Risolvo per la rivista: alla fine, male che vada, ci saranno due (2) cvli.
Saranno sì e no 2-300 pagine di carta patinata. Qualcosa come 20 acri di foresta di betulle finlandese, e probabilmente la colla per mettere insieme il tutto proviene dagli zoccoli delle renne della foresta di cui sopra. La metà delle pagine sono: scarpe. O borse. O vestitini che costano 4-500 euroni. Tutto presentato da ammiccanti giovani ragazze dallo sguardo sfavato, forse perchè mangiano pochi tortelli, dato che non hanno cosce, solo femori color carne, e visi squadrati e tesi come paralumi art-decò. L'altra metà del contenuto è occupata da inutili interviste provocatorie a personaggi "famosi". O da editoriali sulla saggezza di Totò Di Natale (firmato, udite udite, Gad Lerner) o su come conciliare la carriera e l'arte di farsi la ceretta. Ma non è questo il punto. Il punto è che mi metto a leggere uno di questi articoli. Funziona. Saranno le risposte di Ratatatangelo, sarà l'irritante mancanza di professionalità del giornalista, sostituita da una certa abilità nel fare polemiche gratuite che irrita pure me, fatto sta che i miei cinque minuti sul seggio papale scivolano via nel migliore dei modi.
Direte voi: e allora? Ora vi dico allora.
Mentre faccio per alzarmi, proprio appena finito l'articolo, leggo là dove dove dovrebbe esserci la firma del giornalista: TEMPO DI LETTURA STIMATO 9 MINUTI.
Panico.
Io quanti ce ne ho messi? Cosa succederà? Cosa vorrà dire???
Viene qualcuno a controllare? Io sono anche con le brache calate, che figura ci faccio?
Ce l'avranno scritto per mortificare la gente, mi viene da pensare. Una persona normale legge questo articolo in 9 minuti, se te ce ne hai messi di più, cara, sei solo un'ochetta ed è bene che tu inizi a pensare di darti alla politica. No, non è possibile... una persona normale certi articoli non li legge proprio...
Ed ecco l'epifania: un fulmine che mi attraversa la testa. Sarà mica che... che una di queste donne-sempre-di-corsa PRIMA guarda quanto dura l'articolo, poi lo legge se ha tempo? Siamo arrivati a tanto? Siamo arrivati a sfornare pasti pronti in 4 minuti perchè non abbiamo tempo di fare da mangiare. Ora abbiamo anche articoli che durano 5-9-12 minuti, a seconda del tempo che hai. Una vita fatta di buchi. Di ritagli. Una generazione di donne e uomini di fretta, sempre di corsa, sempre dietro al lavoro per fare soldi e lo shopping per spenderli, e più nient'altro. Mangiare è una perdita di tempo. Leggere è una perdita di tempo. Cinema, arte, tutto è una perdita di tempo.
Piccole trottole impazzite, nevrotiche, insoddisfatte e -in ultima analisi- povere. Belle e sfavillanti, piene di ninnoli, col loro moto perenne e la loro aria alla "non ho tempo per te", e senza nient'altro che questo. Neppure il tempo per sentire addosso l'insoddisfazione, l'insicurezza. Come nel moto browniano, quando c'è vuoto, muoviti più in fretta per riempirlo. Finchè qualcosa ad un certo punto si inceppa, e qui subentrerò io e mi ci guadagnerò la pagnotta. Ma nel frattempo, mi deprime vedere cosa siamo stati capaci di produrre. Ratatatangelo: tempo di lettura, nove minuti sciatti. Il Giro di Vite di Henry James, un paio di settimane di full immersion nel torbido dell'inconscio. Come dice un noto imbecille televisivo, liberi di scegliere.