martedì 14 dicembre 2010

Tutti i miei broccoli.



broccoliFeynman era un uomo come pochi.
Dotato di vivo intelletto, di senso critico ed estetico e di grande ironia. Uomini così nascono ogni 62 anni.
Nel corso di una famosa intervista affermò, in risposta a chi definiva la fisica troppo "arida", che proprio chi cerca di penetrare i segreti e la struttura più fine della natura può godere delle meravigliose forme dell'universo molto più di chi si ferma alla superficie.
Un altro grande uomo, Mandelbrot, morto soltanto due mesi fa, disse che "Meraviglie senza fine saltano fuori da semplici regole, se queste sono ripetute all'infinito".

Prendiamo ad esempio il vilissimo cavolfiore romanesco, oggetto di olenti pietanze, volgarissima pianta da orto conosciuta dall'umano consesso sin dall'alba dei tempi. Sappiamo tutti che, a dispetto delle sue plebee origini, questa pianta conserva in sé una nobiltà d'aspetto invidiabile: elegante, nelle guglie delle sue infiorescenze, che si ripetono uguali all'infinito come le parole di Capezzone. Il colore, l'armonia, tutto in lui -a parte l'odore- è degno dell'attenzione di poeti e cantori.
Ma.
Se vi venissi a raccontare che tutti quei piccoli grumi sulla sua superficie, che a tutti è dato vedere, si ripetono con le stesse identiche proporzioni all'infinito, con un collegamento a spirale, fino ad arrivare a dimensioni microscopiche, conservando nell'insieme la struttura originale, e che proprio questo genere di simmetria, denominato autosimilarità, è alla base dello studio sui frattali del sopracitato Mandelbrot, vi avrei guastato la festa?
Se vi dicessi che la meravigliosa morfologia del cavolo romanesco è il risultato di algoritmi ricorsivi espressi in funzioni come an+1=a2n+P0 , avrei forse distrutto l'incanto che la vista del broccolaccio ha elicitato nelle vostre menti? Oppure il lavoro del franco-polacco Mandelbrot ha aperto per tutti noi una nuova finestra dalla quale guardare l'orto con una diversa prospettiva?



D'accordo, non vi piace il cavolo? Neanche a me. Però siete veramente stucchi.



Facciamo un altro esempio, allora.
Il girasole, o elianto che dir si voglia, è un altro vegetale sorprendente. Tutti noi lo conosciamo per la peculiarità di volgersi nella direzione del sole che sorge e di seguirlo (più o meno) durante il suo cammino, caratteristica che lo rende simile in maniera inquietante (almeno per me) ad un Trifido. Mai avventurarsi da soli in un campo di girasoli. Lo conosciamo per il suo colore giallo, per il suo olio di dubbia qualità, per le sue dimensioni esagerate.
Bene, alcuni sapranno che in realtà quello che noi chiamiamo "fiore" di girasole altro non è che l'insieme di tanti piccoli fiorellini. Ma pochi saranno a conoscenza del fatto che la sistemazione di questi fiori nel disco segue la regola della sezione aurea, e che il numero di spirali orarie ed antiorarie che si ottengono con questo schema si ritrova nella successione di numeri di Fibonacci (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e così via...), e sono di norma 34 in un senso e 55 nell'altro, per arrivare a 89 e 144 negli esemplari più grandi. Mai una di più, mai una di meno.
Se non è meraviglioso questo, non so cosa lo sia.
D'altro canto, anche chi non aveva strumenti scientifici o matematici per arrivare a comprendere l'essenza della natura, provava comunque a spiegarsi la genesi della bellezza attraverso il mito. E quello che riguarda la nascita del girasole ci racconta di una ninfa, di nome Clizia, innamorata del dio Apollo. Ma lui non la guardava nemmeno, tutto preso a corteggiare Leucotoe. E quando il Dio del Sole, con uno stratagemma, riesce a concupire l'oggetto del suo desìo, la povera Clizia -preda della gelosia- spiffera tutto al padre della traviata, col risultato di far seppellire viva Leucotoe (all'epoca ci andavano giù pesanti per poco) e di far infuriare Apollo. La ninfa allora, sempre più depressa, passa le giornate a guardare il suo amato correre su e giù per il cielo, deperisce vieppiù, finché muore consumata dal dolore, tramutandosi in girasole.

La storia che ci raccontano i greci non è meno bella di quella che ci raccontano Feynman e Mandelbrot. E non mi metto a parlare di quelle che potrebbero raccontarci fisiologi e chimici sul funzionamento delle piante a livello cellulare o su cosa nascondano al loro interno i prodotti da esse ricavati che noi comunemente ed impunemente utilizziamo nella vita quotidiana. La fame di conoscenza, l'essere curiosi, sono le uniche caratteristiche che ci distinguono dalle fiere e dai leghisti. Chi rinuncia a questo, chi si accontenta di grattare la scorza, chi sbuffa davanti alle spiegazioni da "secchione" per la paura di affaticarsi l'intonsa corteccia cerebrale, come quelli che lasciano la plastica intorno al divano, si priva di una delle più grandi gioie della natura stessa, che consente di essere odorata, guardata, lusingata, assaporata, ma anche compresa e svelata. Ed è buona norma ringraziare chi -con il suo lavoro e la sua dedizione- ci spalanca le porte dei sensi, consentendoci di vedere dove prima c'era solo la fitta nebbia dell'ignoranza e di allargare le nostre prospettive e i nostri interessi.

Senza ombra di dubbio, chi sa sa, e ne gode anche, a livelli più alti e più profondi di chi soltanto guarda.
Chi non sa, insegna.
E chi non sa neppure insegnare, scrive.

2 commenti:

  1. "Chi non sa, insegna. Chi non sa insegnare insegna ginnastica, chi non sapeva insegnare ginnastica veniva assegnato alla nostra scuola".
    (W.A.)
    Bellissimo post.

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  2. Una dichiarazione d'amore per la conoscenza.. Quanto ti si addice! Ed il destino beffardo oggi che ho tardato mi ha fatto trovare solo cavolo per pranzo, almeno ho avuto una lettura a tema ;)
    V.

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