giovedì 2 giugno 2011

"Gare de Coatelan", sonata per papaveri e majali.



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Gare de Coatelan, Bretagna.
Un posto che forse non vedrò mai.
Ci sono solo due tratti che mi avvicinano a Michael Collins, l'eroe dell'indipendentismo irlandese.
Il primo, è la tendenza a risolvere i conflitti avvalendosi del caos e della distruzione totale. Non mi si dipinga come un uomo troppo mite: è soltanto la ragionevole consapevolezza delle conseguenze che frena le mie azioni, ma se fossi nato in un periodo storico diverso da questo avrei avuto senza dubbio la tendenza a dirimere le controversie spada alla mano o fucile in spalla.
La seconda è quella vile malinconia che mi prende nel vedere le stazioni.
Diceva Collins, almeno nel film, "Mi piacciono i treni, mi fanno pensare a tutti i posti che non vedrò mai". Ecco, questo è uno dei tarli della mia esistenza. Pensateci un secondo. Quante vie ci è dato percorrere, quanti bivi inforchiamo, quante strade scegliamo. E quante ce ne lasciamo dietro. Quando ero giovane, secoli fa, ci pensavo spesso... Affacciandomi alla finestra vedevo un mondo smisurato perdersi all'orizzonte, ero consapevole della marmaglia che lo popolava, e sapevo che al di là della linea della vista, ben oltre quanto mi era dato di vedere dalla curvatura di questo nostro sasso dotato di atmosfera, esistevano: città. Cose, persone ed animali, come nel gioco delle iniziali. E mi chiedevo: quante cose non conosco? Mi rispondevo: tutto. Adesso, in questo preciso momento, nella mia vita ci sono dei buchi che verranno riempiti, là dove dovevano esserci immagini, posti, persone, concetti e quant'altro. E starà a me farlo: la responsabilità del percorso da seguire mi disarma. Un po' quello che diceva il Pianista sull'oceano, Mr.Novecento. Ecco, il succo è quello, chi ha letto il libro mi capirà in pieno, chi ha visto il film leggermente meno e chi non ha fatto nè l'uno nè l'altro è pregato di cambiare Blog, che non sono qui a pettinare le acciughe e non posso sempre spiegarvi tutto.
E' passato il tempo, alcune caselle si sono riempite, e spesso in maniera sorprendente, lo dico senza esagerazione. Posti meravigliosi, persone indimenticabili. Nel frattempo i capelli si sono dati al maquis, la misantropia si è nutrita della mia boria, complice la quantità di inutili sempliciotti che mi si sono incastrati tra le ruote con costanza indefessa, e io continuo a pensare le stesse cose.
Cosa c'è nel mondo, come avrebbero potuto andare le mille strade che inforchiamo? Cosa c'è nella mia vita al posto della Gare de Coatelan? Certo, vivere così è faticoso, ma non conosco altri metodi, e mi tengo questo.
E' un po' come il paradosso del gatto di Schroedinger e la questione dell'Universo a molti mondi, cosa di cui un giorno mi deciderò finalmente a scrivere per destabilizzare definitivamente la vostra coscienza. Ma non è questo il momento, e devo imparare a non divagare, o il mio aulente pObblico mi abbandonerà prima di subito.
Ergo. Riprendiamo da dove eravamo.
Sono passati gli anni, e sono sempre al punto di partenza, mi trovo a specchiarmi nel vetro della finestra, guardando i tetti sconfinati di Firenze (in realtà, non più di un paesone), chiedendomi dove sono stato portato dalla marea, dove andrò a parare, e quante cose ancora aspettano che riversi su di loro la mia bile e il mio affetto. In più, ormai c'è anche il tempo di guardare indietro e di fare i conti col proprio passato, e questo è complicato e doloroso, lieto e struggente. Una bella ridda di emozioni per chi, come me, non ha mai imparato l'arte di gestirle.
Ed ecco che in tutto questo Amba Aradan (per tornare al corretto etimo della montagna) l'unica amica che mi viene in soccorso è l'immaginazione, la fantasia, quella vigliacca subdola e spietata che da sempre mi crea problemi e li risolve.
La sperimento ogni sera prima di addormentarmi, e poi sogno i nazisti, la mattina al risveglio e mi incazzo, e il pomeriggio, mentre passeggio per le vie di una città deserta per il giorno di festa, mentre le nuvole si addensano minacciando pioggia, mentre il vento di buriana soffia ai miei piedi foglie già cadute dagli alberi nei primi di giugno e mentre individui inconsapevoli, piccoli PNG di color verde-neutrale, mi passano accanto senza curarsi minimamente del mondo.
Io invece mi curo. Mi curo di ogni singola pietra, di ogni refolo di brezza, di ogni sguardo incrociato per caso. I care, diceva il presidente neGro, mi interessa, anche se mi nutro di disprezzo.
Citando Guccini: la fantasia può portare male, se non si conosce bene come domarla. E questo è vero. Ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può impedire di adoperarla.
Economia, leggerezza e imprevedibilità. Mancanza di controllo e splendida anarchia. Nella fantasia siamo tutti ladri e puttane, re e rei, cacciatori di nonmorti e pere spadone.
E' così essenziale saper porre un freno a tutto questo? Non potrebbe essere la risposta all'imprevedibilità del destino umano, alla forzata cagionevolezza del nostro vagare?
Chi lo sa... di sicuro molti hanno costruito su di essa la loro fortuna, altrettanti la loro rovina.
Io nel frattempo mi crogiolo beato nell'immaginario, sogno sogni vividi e meravigliosi, e cerco di imparare da loro.
Perchè il punto non è tanto immaginare e sognare, quanto cercare di capire cosa la nostra immaginazione fervida, quanto i nostri sogni più reconditi ci stiano cercando di comunicare. La Gare de Coatelan... magari dovrei comprare un biglietto del treno ed andare fin lassù. Vedere coi miei occhi, assaporare con la mia lingua, annusare col mio copioso naso. Sentire che in qualche modo una compenetrazione con la realtà è possibile, consigliabile, inevitabile.
Seguendo le orme di due grandi aviatori, immaginari entrambi a loro (diversissimo) modo.
Il primo, tale Saint-Exupery, il più grande visionario del novecento, il poeta volante, che scrisse le cose più belle che siano mai state scritte sulla responsabilità affettiva, e che sparì, ingiustamente abbattuto da un tedesco che se ne pentì per il resto della vita, nelle acque di quel mare che aveva sorvolato mille volte senza un solo colpo in canna, mentre intorno a lui infuriava il massacro.
Il secondo, un maiale che osava pilotare idrovolanti, che preferiva essere porco che fascista (cosa che condivido, dovessi morire mille morti), che sapeva che un maiale che non vola è soltanto un maiale.
Pensateci, ogni tanto, e cercate di spiccare il volo, o rimarrete a grufolare nella terra.
Sapendo sempre, portando con voi l'assoluta certezza, che qualsiasi percorso scegliate, qualsiasi rimpianto vi smembri il cuore, i papaveri continueranno a fiorire, incuranti di voi, indefessamente, con costante abitudine e poetica malignità.
Il resto, vi sia concesso.

7 commenti:

  1. sembra quasi un sottile invito a fare uso di oppiacei.
    mannò scherzo.

    lo so che il mondo può andare avanti senza di noi.
    e forse qualcuno può pure fare a meno di se stesso.

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  2.  Come la spezia di Arrakis, "viaggiare senza muoversi".
    Che il mondo ci ignori sottilmente è un dato di fatto, che lo facciamo noi stessi una pia illusione ;)

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  3. Condividere i propri cazzi con il mondo è un conto, ricevere opinioni non richieste una faccenda di cortesia. D'altro canto se quello che ho scritto in passato non è di tuo gradimento non sei obbligato a leggerlo. 
    O erro?

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  4. Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.

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  5. @analg3s1co: ma quanto sei palloccoloso...

    @herboriste: bella cosa. la farina del tuo sacco è sempre più sottile. ;)

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  6. Magari fosse farina del mio sacco
    ho scomodato Beckett...

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