mercoledì 6 aprile 2011

Happiness is overrated

__sad_bunny___by_lolita_art
I lavacri sono una manna dal cielo. Senza lavacri sarei morto già diverse volte, sia fisicamente che intellettualmente. Le abluzioni ristorano il corpo e restituiscono la giusta dimensione ai pensieri. Insomma: mi piace fare la doccia, e chi ha passato del tempo con me sa che ne faccio numerose e che nel frammentre canto. E penso.
L'amore per i lavacri ha due radici: etrusche per quanto riguarda la cura del corpo, pontificie per quella dell'anima.
D'altro canto, mentre la mia gente costruiva acquedotti e terme qualcosa come tremila anni fa, il resto dei barbari d'oltremare e oltrappennino si lavava i denti con rametti di abete e costruiva case di cacca di cammello.
Ma non volevo parlare dei miei bagni. Volevo solo dire che, dopo diversi anni di assenza forzata dalla scrittura (informazione esagerata) sono tornato a produrre un pensiero critico proprio sotto la doccia. Come sempre, del resto.
Pensavo alla felicità.
E mi dicevo che l'ignoranza è un bene, almeno per me. Mi spiego meglio: l'ignoranza è il bene più grande delle persone con un minimo di senno e la condanna degli idioti.
Mi spiego ancora meglio, per quelli di voi ottusi come il fondo di un baule.
Chi è scemo è scemo. Fine. Buon per lui, si dice qui. "Bòn per te che non capisci una sega", anzi, è la locuzione giusta in provenzale (cfr. Jean De La Gavette, "Je te donne moi le bacon", 1443).
Quindi chi se ne va per il mondo gonfio di aria stantia come un barile in disuso, senza curarsi di ciò che lo circonda, sarà felice o triste a seconda di ciò che gli capita e che lo tange, ad esempio una martellata sul pollice mentre appende un quadro di Gattuso o un molare scheggiato mentre addenta un panino cipolla & calcinacci. Che bella vita, mi viene da pensare, per queste persone che si bevono ogni bischerata.
Per chi non ha invece i tratti dell'uomo di Cro-Magnon le cose sono più difficili. Sapere è una condanna, intuire una doppia condanna, avere ragione delle proprie nefaste intuizioni una sciagura vera e propria.
Quante volte vi siete sentiti raccontare cazzate e avete soprasseduto? Quante volte avete preferito ignorare cosa stesse succedendo, perchè il solo pensiero vi faceva star male? E quante volte avete provato quella inesorabile certezza che le vostre pessime sensazioni sono -in verità- assai prossime alla realtà? Diceva un famoso gobbo: a pensar male si fa peccato, ma si indovina. Ecco, c'è poi chi di questo ne ha fatto una scienza quasi esatta.
Tendenzialmente, il ragionamento vale per tutto: dai rapporti politici internazionali al coniuge infedele. Potete -con un pò di impegno- cavarvi da soli il ragno dal buco, una volta individuato il buco (e non a tutti riesce: è la cosa più difficile, trovare il buco). Basta un pò di buona volontà. Non ci vuole il professor Ekman, e neppure si deve studiare Borg e la sua prossemica. Basta andare dietro all'istinto, se l'avete abbastanza allenato, e potrete capire se le persone intorno a voi vi raccontano immani cazzate, se nascondono qualcosa per non farvi star male, dove sono, cosa fanno e perchè lo fanno. Basta averci l'inclinazione, e io, a dispetto dei miei studi, ce l'ho sempre avuta. Ma non l'ho mai assecondata molto, perchè.
E' molto, molto faticoso.
La gente, e qui ci metto anche me e voi, mio aulente pObblico, ha un quantitativo di energie limitato e non può sempre stare all'erta per ogni cosa. E allora ecco che succede il miracolo dell'ignoranza.
Mogli con mariti palesemente fedifraghi che negano l'evidenza, genitori che si bevono le storie su vento e motorini di figli drogati e con gli occhi arrossati, matrone che si inginocchiano a mangiare il corpo di cristo e nefasti personaggi che -nel buio della cabina elettorale- mettono croci su partiti-azienda di dubbia moralità.
Allora mi dico: l'ignoranza è un bene. Ma non quella finta di chi non vuol vedere. Quella vera degli stolti.
Per chi ha un grammo di sale in zucca non ci sarà mai la vera felicità.
Fatevene una ragione, è così. Smettete di dibattervi come pesci nella padella della Gran frittura.
Se siete felici o siete stupidi o non state tenendo conto di qualcosa.
Certo, perdìo, ci sono momenti di felicità per tutti. Ma quanti saranno mai? Quanto potete rimanere felici?
Io, personalmente, credo di essere stato felice tre volte dalla mia pubertà, intendo veramente felice, e contento forse una dozzina. Mai per più di tre o quattro ore di seguito, comunque.
Forse è solo un cruccio mio, ma mi sento di essere in buona compagnia se ripenso a quanti prima di me hanno dato fiato alle penne per scrivere aforismi sulla felicità che suonavano più o meno come quello di Schopenhauer. Il pendolo tra il dolore e la noia. O la storia dei due ricci. O la concezione della vita di Allen: l'esistenza è divisa in due categorie, l'orribile e il miserrimo. E allora ci va bene il miserrimo.
Il punto infatti è proprio qui, in ultima analisi. La ricerca della felicità, costituzionalmente approvata, è una favola come quella di Babbo Natale (spero di non aver lettori preadolescenti, o mi vedrò costretto a metter mano agli avvocati). L'unica ricerca possibile è quella di non essere tristi. Perchè in effetti questo ci resta, come esseri umani: se considerate bene la situazione, se vi guardate davvero dentro, potete candidamente ammettere che felici lo siamo stati raramente, e tristi molto più spesso e spesso in conseguenza di ciò che ci rendeva felici. E allora cerchiamo di non essere tristi, "basta che funzioni" diceva il genio cineasta ebreo. La ricerca della medietà, della situazione che non ci renda malinconici, che ci faccia stare meno male, che ci dia il minor numero di rimpianti.
E cerchiamo di fare i conti con l'infelicità, che al contrario della felicità è ben popolata.
Lo sapeva bene un altro grande personaggio, che è stato il mio Virgilio alla scoperta dei sentimenti umani. Sto parlando di Charlie Brown.
E voglio lasciarvi con questa immagine. Si tratta di una vecchia striscia, forse degli anni settanta, una delle striscie del periodo di Natale, quando a Charles veniva la depressione da festività (le altre due grandi depressioni erano associate a San Valentino e al campeggio estivo, mentre la riapertura della scuola non causava al vecchio nessun problema: peculiare come Charles soffrisse solo nelle situazioni di gioia estrema -almeno per gli altri-) ho perso il filo.
Ma il succo è: in questa striscia qualcuno augura a Charlie Brown un felice anno nuovo. Passano due vignette con lui che passeggia a testa china. Poi si gira e fa: "A proposito... che cosa vuol dire 'felice'??".
Ecco, questo è il succo.
Charlie Brown è triste perchè SA. E' depresso perchè sa di essere triste. Perchè è il bambino più intelligente e sensibile, e di conseguenza è il bersaglio degli altri bambini, quelli "felici". O che almeno credono di esserlo.
Perchè poi, lo sono davvero?
Linus, con il suo Transizionale mai risolto, Lucy, arrogante e sociopatica e costantemente depressa, Schroeder, il monomaniaco del piano, incapace di relazioni umane... e potrei andare avanti così per chiunque.
Loro non lo sanno, di essere infelici, quindi sono contenti.
E' come il calabrone che vola perchè non sa che non potrebbe farlo.


E adesso non preoccupatevi se vi ho depresso, e non me ne vogliate.
Come già ho scritto, la felicità è un concetto sopravvalutato.
Ricordatevi questo, e sarete felici.




2 commenti:

  1. questo post è di un cinismo quasi didascalico, ma genuino. avendone letti altri tuoi direi che è come se riassumesse una visione del mondo for dummies.
    ti si legge con rassegnato piacere.

    ciao

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  2. Fin troppo gentile, caro Dors.
    E' vero: una visione del mondo for dummies è la locuzione giusta, non avrei saputo dire di meglio.
    Anche se vorrei aver torto, in questo rassegnato cinismo...
    E grazie, la boria di noi artisti si nutre di lodi sperticate ;)

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