mercoledì 22 dicembre 2010

Ha nevicato, Lello...



evil_santaEra il 1985, ancora dovevo compiere un lvstro, e venne giù la neve. Che per noi, alle nostre longitudini (perchè è una questione di longitudine a questa latitudine), era una bella novità. Non mi ricordo le reazioni del popolaccio, quella volta, ovviamente. Benchè mi ricordi esattamente il punto in cui costruii il mio primo pupazzo di neve, e che tipo di guanti e sciarpa indossassi allora... e forse è proprio questa mia memoria eidetica a costituire un intralcio alla mia vita sociale...
Ma sto divagando.
Mi ricordo invece molto bene della nevicata del 2010. Mi ricordo di essermi svegliato la mattina e di essere uscito a fare colazione in mezzo a sguardi: perplessi e preoccupati. La bella Elena del Bar, che mi sveglia con i suoi cappuccini tutte le mattine, ha commentato "Speriamo bene", volgendo lo sguardo al cielo come se fosse solcato da incrociatori alieni nel giorno dell'Indipendenza, e Will Smith ancora non si fosse fatto vivo. Sono rientrato in casa e mi sono messo a scrivere, e dopo due minuti ha iniziato a nevicare con foga, con cattiveria, come a voler seppellire Sodoma e Firenze sotto palle di neve e ghiaccio.
E' andata male, funzionava meglio il fuoco, però in un pomeriggio è successa la magia. Gli sguardi delle persone sono diventati: allegri e solidali.
Passato il momento di imbarazzo, passati i disagi e la paura per chi si è ritrovato in mezzo ad un fortunale, assediato da lupi e bande di orchetti, mentre cercava di tornare all'ovile dopo il duro lavoro, la mattina dopo ed anche la sera stessa gli sguardi delle persone erano: felici senza motivo.
Oh, giubilo, il giorno dopo la gente sembrava uscita da un cartone animato della Disney. Tutti si salutavano, si scambiavano battute come in quei film americani degli anni cinquanta, in quelle cittadine dove si conoscono tutti, e gli uccellini morivano assiderati con il sorriso sulle labbra (licenza poetica). Una cosa che scalda il cuore, un trionfo Deamicisiano, la prima nevicata di sapa della storia dell'umanità.
E' durata quasi tutto un pomeriggio, roba da non crederci, prima che si tornasse agli sguardi: diffidenti ed indifferenti.
Già il secondo giorno, con mia grande soddisfazione, i personaggi non giocanti (PNG) avevano ripreso la loro consueta attitudine ad ignorarti se non provocati, e le vecchie al bar e al supermercato erano tornate -dopo una breve metamorfosi in candide nonnine- quelle vecchie arpie antipatiche e pretestuose che tutti noi adoriamo.
Oh, giubilo, l'umanità non si è smarrita: è sempre inutilmente cattiva ed astiosa come prima, e io posso odiarla senza sensi di colpa.

Ma un bel gioco dura poco, ed ecco che questa nevicata repentina, questa fuga di notizie in bianco dall'alto dei cieli, tramutata in poltiglia e fango simili allo sterco degli angeli, è stata rimpiazzata dal calendario.
Ed è subito Natale. La festività fasulla durante la quale il testimonial della Coca-Cola distribuisce doni ai bambini ricchi e carbone a quelli poveri. Il risultato, un umanità schizofrenica, in preda alla paura il primo giorno, alla bontà il secondo, al disinteresse il terzo, alla cattiveria il quarto e di nuovo alla bontà il quinto. Evviva, oh giubilo!
Si rivedono le pubblicità per bambini in TV, dopo che per tutto l'anno sono stati pubblicizzati prodotti per il nuovo target commerciale: il single di successo. Ma natale è il natale delle famiglie, il single è pregato di non disturbare la lotta agli acquisti fino ai saldi, grazie. Oggi si regala bontà.
E qui si arriva al punto.
Si deve essere buoni perchè è natale. Ci inteneriscono la carne e il cuore con mille musichette, coi film, i cartoni animaLi, le trasmissioni, le storie strappalacrime, ci telefonano i parenti che non sopportiamo, i commercianti ci fanno gli auguri mentre guardano il nostro portafoglio, cercando di pesarlo con gli occhi. E noi ci sentiamo così buoni, con quel calore dentro come quando ti va giù intera una fetta di roastbeef per un colpo di tosse. E si attiva in noi il condizionamento imperiale: natale è la gioia del dare! Natale è la festa del Bene supremo, l'anniversario della sconfitta di Mordor sui campi del Pelennor, la nascita del redentore sui sedili posteriori dal SUV che trasportava la sacra famiglia da Betlemme a Nazareth, e BISOGNA essere buoni, e per essere buoni bisogna DARE. E per dare, va da se, bisogna comprare. E noi si compra, ci mancherebbe altro. Sennò che figura ci si fa? Compriamo vestiti, libri, aggeggi, ammenicoli, stampe, quadri, gioielli, collisori adronici, strumenti musicali, termometri rettali, papaline, consolles, films, schiavi... d'altronde, anche i tre re magici dovettero presentarsi al Re dei Nonmorti a mani piene.
Anche se mi sono sempre chiesto che ne avrà fatto il padre putativo di Gesoo di tutto quell'oro... forse ha fatto qualche cattivo investimento, perchè mi pare che si sia ritrovato più povero di prima... sempre che non si sia giocato tutto in sala corse.
Ma sto facendo di nuovo il dottor Divago.
Il punto è: tra poco anche il 25 dicembre si scioglierà sotto un freddo sole invernale, e lascerà dietro di sè stracci di carta da pacchi a marcire nelle strade. La gente tornerà normale, astiosa e sempre incazzata, così, senza motivo. Insoddisfatta, nonostante gli acquisti fatti e quelli ricevuti. Vuota, pigra, stupida, egoista ed arida e -per questo- molto, molto sola.
Perchè la gioia non è ricevere, ma neppure dare. Ci hanno fregato, ci stanno fregando. Macchè dare e dare. Macchè comprare e regalare. La gioia è un'altra cosa, ma non starò qui a dirvi cosa, perchè sono solo un vecchio misantropo e non so di cosa stia parlando.



Scriveva Endo: siate gentili più che potete con chi è importante per voi, e crudeli con tutti gli altri.
Questa è sanità mentale, il resto sono pinzillacchere che mi fanno venire la gastrite e il blocco dello scrittore.



Buon Natale a tutti voi.

martedì 14 dicembre 2010

Tutti i miei broccoli.



broccoliFeynman era un uomo come pochi.
Dotato di vivo intelletto, di senso critico ed estetico e di grande ironia. Uomini così nascono ogni 62 anni.
Nel corso di una famosa intervista affermò, in risposta a chi definiva la fisica troppo "arida", che proprio chi cerca di penetrare i segreti e la struttura più fine della natura può godere delle meravigliose forme dell'universo molto più di chi si ferma alla superficie.
Un altro grande uomo, Mandelbrot, morto soltanto due mesi fa, disse che "Meraviglie senza fine saltano fuori da semplici regole, se queste sono ripetute all'infinito".

Prendiamo ad esempio il vilissimo cavolfiore romanesco, oggetto di olenti pietanze, volgarissima pianta da orto conosciuta dall'umano consesso sin dall'alba dei tempi. Sappiamo tutti che, a dispetto delle sue plebee origini, questa pianta conserva in sé una nobiltà d'aspetto invidiabile: elegante, nelle guglie delle sue infiorescenze, che si ripetono uguali all'infinito come le parole di Capezzone. Il colore, l'armonia, tutto in lui -a parte l'odore- è degno dell'attenzione di poeti e cantori.
Ma.
Se vi venissi a raccontare che tutti quei piccoli grumi sulla sua superficie, che a tutti è dato vedere, si ripetono con le stesse identiche proporzioni all'infinito, con un collegamento a spirale, fino ad arrivare a dimensioni microscopiche, conservando nell'insieme la struttura originale, e che proprio questo genere di simmetria, denominato autosimilarità, è alla base dello studio sui frattali del sopracitato Mandelbrot, vi avrei guastato la festa?
Se vi dicessi che la meravigliosa morfologia del cavolo romanesco è il risultato di algoritmi ricorsivi espressi in funzioni come an+1=a2n+P0 , avrei forse distrutto l'incanto che la vista del broccolaccio ha elicitato nelle vostre menti? Oppure il lavoro del franco-polacco Mandelbrot ha aperto per tutti noi una nuova finestra dalla quale guardare l'orto con una diversa prospettiva?



D'accordo, non vi piace il cavolo? Neanche a me. Però siete veramente stucchi.



Facciamo un altro esempio, allora.
Il girasole, o elianto che dir si voglia, è un altro vegetale sorprendente. Tutti noi lo conosciamo per la peculiarità di volgersi nella direzione del sole che sorge e di seguirlo (più o meno) durante il suo cammino, caratteristica che lo rende simile in maniera inquietante (almeno per me) ad un Trifido. Mai avventurarsi da soli in un campo di girasoli. Lo conosciamo per il suo colore giallo, per il suo olio di dubbia qualità, per le sue dimensioni esagerate.
Bene, alcuni sapranno che in realtà quello che noi chiamiamo "fiore" di girasole altro non è che l'insieme di tanti piccoli fiorellini. Ma pochi saranno a conoscenza del fatto che la sistemazione di questi fiori nel disco segue la regola della sezione aurea, e che il numero di spirali orarie ed antiorarie che si ottengono con questo schema si ritrova nella successione di numeri di Fibonacci (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e così via...), e sono di norma 34 in un senso e 55 nell'altro, per arrivare a 89 e 144 negli esemplari più grandi. Mai una di più, mai una di meno.
Se non è meraviglioso questo, non so cosa lo sia.
D'altro canto, anche chi non aveva strumenti scientifici o matematici per arrivare a comprendere l'essenza della natura, provava comunque a spiegarsi la genesi della bellezza attraverso il mito. E quello che riguarda la nascita del girasole ci racconta di una ninfa, di nome Clizia, innamorata del dio Apollo. Ma lui non la guardava nemmeno, tutto preso a corteggiare Leucotoe. E quando il Dio del Sole, con uno stratagemma, riesce a concupire l'oggetto del suo desìo, la povera Clizia -preda della gelosia- spiffera tutto al padre della traviata, col risultato di far seppellire viva Leucotoe (all'epoca ci andavano giù pesanti per poco) e di far infuriare Apollo. La ninfa allora, sempre più depressa, passa le giornate a guardare il suo amato correre su e giù per il cielo, deperisce vieppiù, finché muore consumata dal dolore, tramutandosi in girasole.

La storia che ci raccontano i greci non è meno bella di quella che ci raccontano Feynman e Mandelbrot. E non mi metto a parlare di quelle che potrebbero raccontarci fisiologi e chimici sul funzionamento delle piante a livello cellulare o su cosa nascondano al loro interno i prodotti da esse ricavati che noi comunemente ed impunemente utilizziamo nella vita quotidiana. La fame di conoscenza, l'essere curiosi, sono le uniche caratteristiche che ci distinguono dalle fiere e dai leghisti. Chi rinuncia a questo, chi si accontenta di grattare la scorza, chi sbuffa davanti alle spiegazioni da "secchione" per la paura di affaticarsi l'intonsa corteccia cerebrale, come quelli che lasciano la plastica intorno al divano, si priva di una delle più grandi gioie della natura stessa, che consente di essere odorata, guardata, lusingata, assaporata, ma anche compresa e svelata. Ed è buona norma ringraziare chi -con il suo lavoro e la sua dedizione- ci spalanca le porte dei sensi, consentendoci di vedere dove prima c'era solo la fitta nebbia dell'ignoranza e di allargare le nostre prospettive e i nostri interessi.

Senza ombra di dubbio, chi sa sa, e ne gode anche, a livelli più alti e più profondi di chi soltanto guarda.
Chi non sa, insegna.
E chi non sa neppure insegnare, scrive.

lunedì 6 dicembre 2010

Di sirfidi e di altre bestie

mistbieneNella scala degli esseri più schifosi che popolano la terra, il primo posto spetta senza ombra di dubbio alle falene. Spregevoli esseri nottivaghi, dall'andamento probabilistico e dal volo incerto, che nella migliore delle ipotesi possono far schiantare il loro corpo tozzo e peloso dritto sulla testa di qualche malcapitato. E nella peggiore, infilarsi in quel pertugio tra collo e colletto, attentando alla sanità mentale di chiunque ne sia ancora in possesso.
Ecco, ora sapete il mio punto debole.
La piazza d'onore spetta a Bondi, e poi via via in ordine decrescente, troviamo le altre forme di vita più o meno spregevoli ed orride come scorpioni, tenie, ragni pelosetti e così via.
Ora, dopo quello che si è detto, una Eristalis Tenax apparirà come un morbido peluche della Trudi.
Ma che cos'è una Eristalis Tenax?
E' una di quelle creaturine furbe che si travestono da altri animali più dotati per sfangarla nella corsa per la sopravvivenza. Piccola, debole, inadatta alla lotta, la piccola Eristalis è un dittero (quindi: più o meno una mosca) che usa la colorazione delle api per cercare di farsi rispettare.
Un pò come quando io mi metto la cravatta.
Questa piccola bricconcella non fa male a nessuno, e neppure ha abitudini disgustose come la mosca comune: si nutre infatti di nettare, che succhia dai calici dei fiori con la sua proboscide. Ma che carina.
Peccato che la prole di questa "mosca" sia composta da delle piccole figlie di puttana, larve dette "a coda di topo", aggressive, spregevoli e vigliacche.
Oltre a barare a tresette, a fare la spia e a rigare le vetture, le larve di Eristalis possono parassitare gli intestini dei mammiferi (anche se di norma non lo fanno) fino a perforare la carne della povera bestia e sbucare fuori... roba che nemmeno Romero nei suoi giorni migliori.
Ora direte: bello, ma se volevo sentire Albertoangela accendevo la tele e guardavo Quark (ah, poi si parlerà anche dei quark, prima o poi, contenti? Mi sembra già di sentire le grida di jubilo). Allora io vi dico: qualche giorno fa, la settimana scorsa, mi sono alzato col solito giramento di palle che ormai non mi abbandona più, specie nelle fasi di risveglio, e sono entrato barcollando in cucina. Entrando, il perfetto funzionamento del sistema nervoso autonomo mi ha permesso di identificare un corpo estraneo sul pavimento ed evitarlo alzando un piede come l'Orso Ballerino senza neppure svegliarmi. Dopo aver bevuto il caffè, ecco che la frenetica attività dei neuroni mi ha ricondotto -però- a considerare che:
1) c'era un corpo estraneo sul pavimento;
2) proprio la sera prima avevo sentito un ronzone (N.d.T.: si tratta di un qualsiasi animale non identificato che ronza) in cucina;
3) che quel corpo estraneo poteva appartenere al ronzone, e che quindi ero in gravissimo pericolo.
Compiacendomi della perfetta logica del mio Aristotelico ragionamento, mi sono avvicinato alla "cosa" e ho scoperto che si trattava appunto della nostra piccola Eristalis. Le ho dato un colpetto poco convinto con la punta della babbuccia, e lei ha emesso un debole ronzio, rovesciata sul dorso.
Ecco, ora si arriva al punto. Si da il caso che io sia una persona estremamente pragmatica, ma anche estremamente toppona. Da un lato sapevo che la piccola sirfide stava spirando in conseguenza del naturale corso della natura: fa freddo, le bestioline muoiono. Inoltre, meglio lei che me. D'altra parte, si tratta di un troiaio senza importanza. Però... però mi dispiaceva prenderla e buttarla dalla finestra, a morire schiacciata da un piede. Senza pensarci su, l'ho presa e l'ho messa in un barattolo di vetro. Le ho messo dentro acqua e zucchero, che ha succhiato con avida riconoscenza. L'ho tenuta al caldo finchè non si è retta sulle sue sei zampette. E poi ho aperto la finestra, l'ho posata sul davanzale e l'ho guardata ronzare via, verso la morte certa.

Ora. Perchè mi sono preso la briga di farlo?
Per curiosità. Per sentirmi una sorta di divinità degli insetti. Perchè non avevo niente di meglio da fare. Per scrivere questo post. Sono tutte ottime risposte.

In realtà l'ho fatto perchè tutti noi avremmo aiutato un povero cucciolino infreddolito di gattino. O un cagnolino abbandonato. O un passerotto caduto dal nido.
Nessuno aiuterà mai un ratto, un rospo, o un tafano.

Ecco, questo mi fa incazzare. La piccola Eristalis
magari doveva fare le sue uova in qualche posto lurido, e far nascere le sue schifose larvette. E' la sua vita. Se lo merita. L'ho fatto perchè potevo farlo, perchè ero libero di aiutare un essere vivente a compiere il suo ciclo. Un essere vivente che -esattamente come me- non ha artigli affilati, non ha una stazza imponente, ma cerca comunque, senza nuocere a nessuno, di sopravvivere, magari camuffandosi -come facciamo tutti noi- da qualcosa che non è, per non attirarsi grane indesiderate...

Forse è sbagliato chiedermi perchè l'ho aiutata, forse dovrei chiedermi perchè non avrei dovuto farlo.
Comunque sia, se fosse stata una falena, l'avrei spedita dritta fuori, a raggiungere i suoi avi. D'altra parte sono umano anch'io.