martedì 23 novembre 2010

Il Gorilla e lo Scimpanzè, parte seconda

scimmiacheleggeEro appena andato in stampa, quando ho sentito un forte bisogno di tornare a ribadire il concetto.
Ne ho appena incontrato uno. Alla fila per la cassa, al supermercato. Ovviamente sto parlando di un gorilla. Un gorillino, per la precisione, di quelli col pelo matto.
Giacchetto sdrucito di pelle, caschetto ossigenato su di un paio di sopracciglia folte e spesse, unico complemento di una fronte inutilmente bassa. Andatura barcollante, dai piedi piatti.
Lo sguardo ebete dell'uomo che si stupisce -e ride- di ogni cosa, dall'incidente automobilistico fino ai comici di Colorado Cafè.
Le piccole cose che divertono le piccole menti.
Tutte le sue attenzioni erano concentrate sulla di lui troterella, una secchina vestita in stile finto-no-global: la accerchiava con le zampe anteriori, caracollava dietro di lei insistente, sciorinando risolini e cazzate nei suoi orecchi, mentre lei reagiva con la stessa indifferenza della leonessa che si sente mordere la coda da un cucciolo.
Finchè il brodo di piccione che gli culla il cervello non è stato agitato dalla vista di un libro.

Di quelli che vendono al supermercato, abbinati a qualche giornale.
Parmenide, c'era scritto.
Ha estroflesso una zampetta
e l'ha preso, incerto sul da farsi. L'ha guardato come se fosse una roccia lunare. Parmenide.
S'è messo a ridere, l'ha palleggiato come una pallina da tennis, l'ha soppesato e l'ha rimesso a posto.
Probabilmente l'ha valutato troppo pesante per schiacciarci le zanzare e troppo leggero per schiacciarci le noci.

Sono andato a comprare un saggio sulla battaglia di Lepanto pensando alla coppia di gorillini, che si accoppieranno e avranno tanti cuccioli.

Sono tornato a casa con la mente volta ad una generazione di persone che useranno i libri per zeppare le gambe dei tavoli traballanti

Il Gorilla e lo Scimpanzè, parte prima

gorillaDa piccolo avevo l'abitudine di mettermi il cibo nel piatto e tagliarlo tutto in tanti bocconcini perfetti, prima di inizare a mangiare. Mio padre allora mi guardava di sottecchi e mi faceva: "Se fossi stato in un collegio, ti avrebbero rubato tutto il cibo dal piatto mentre lo tagliavi. E non avresti mangiato nulla".
Forse da qui viene la mia gelosia per il mio piatto. Quello che c'è dentro è MIO e se qualcuno osa solo provare a metterci dentro le zampe... ma questa è un'altra cosa, che forse fa il paio anche con quella sensazione di disagio che provo nel mangiare in pubblico, per la strada, e che mi porta a percorrere chilometri col cibo in mano, guardingo, finchè non ho trovato un angolo che mi si confà per mangiarlo tutto, e di corsa. Probabilmente nella vita precedente ero un cane, chissà... le mie "Vite parallele" sono di Pluto e non di Putarco.
Ma torniamo a bomba.
Quanto detto prima si può riscontrare anche in natura: facciamo l'esempio del Gorilla e dello Scimpanzè. Ovvero, di una scimmietta piccola e astuta e di un esserone incazzoso e manesco. Lo scimpanzè vede un bel casco di banane in una posizione inaccessibile. Prova ad arrampicarsi e non ci riesce. Si caccia un dito nell'orecchio, gratta bene, poi si infila il dito nella bocca, denotando se non altro una certa mancanza di gusto e di bon ton. Ma non si da per vinto. Al contrario del gorilla che, magari dopo aver provato anche lui ad arrampicarsi, emette un poderoso rutto, getta uno sguardo indifferente al casco di banane irraggiungibile e se ne va, lo scimpanzè PERSEVERA finchè non ha trovato la quadratura della banana. E la trova: accatasta una serie di tronchi d'albero, di rami secchi, di sassi, di quel che c'è, e tutto fiero ci si arrampica sopra raggiungendo finalmente le banane. Mentre se ne torna giù tutto giulivo e garruletto ecco che arriva il gorilla, gli rifila un paio di sberle, gli strappa le banane di mano e se ne va lemme lemme, cacciandosi in gola il malloppo senza nemmeno sbucciarlo.
Lo scimpanzè non si perde d'animo, poveretto, ed è fortunato. Non riesce ad immaginarsi che ogni volta che aprirà una noce di cocco una manona lo agguanterà per la collottola per scaraventarlo lontano dall'agognata polpa. Non sa che ogni volta che scoprirà una nuova sorgente d'acqua si dovrà fare da parte per permettere al bruto di turno di sciacquarsi piedi, mani, faccia, glutei e sottoglutei, prima di poter bere un sorso di quella fanghiglia ormai putrida. Poverino, però, che esistenza grama.
Se non avete l'abbonamento al National Geographic Channel o non avete voglia di andare nel Serengeti, nel Ruwendori, nell'Antaniland o in uno qualsiasi di questi parchi esotici e così à la page, potete sempre cimentarvi nell'osservazione dei cugini più stupidi dei primati: la Gente. Il meccanismo è sempre il solito: la lotta nella società, in quella dei bassi livelli, intendo, è la stessa che intercorre tra gorilla e scimpanzè. Ecco che s'avanza il cafone di turno, coi pettorali in mostra, la coda di pavone infilata nel deretano, la forza bruta da toro. Sbuffa dalle froge, sbava se gli chiedi che ore sono tra due ore, ti minaccia se non capisce cosa stai dicendo, anzi ti minaccia sempre -a prescindere-, insomma, fa il grosso solo perchè è grosso. E come d'incanto, tutte le porte si aprono, tutte le donne cascano ai suoi piedi, tutti i lavori gli vengono offerti. Una vita in discesa, campando solo sulle spalle di tutti gli scimpanzè che gli risolvono le grane. Perchè il gorilla fa colpo sul momento, ma poi essendo un completo inetto si trova nei guai. Ma ne esce sempre pulito, ostentando sicumera, facendo lo spaccaculi, scaricando il barile, al limite minacciando. La femmina di Gente media lo lascerà dopo un mese, il gorilla picchierà qualcuno più piccolo di lui, poi si batterà il petto e si gratterà i poderosi attributi, e lei, abbagliata da cotanta prova di virilità, lo reclamerà indietro. Spesso un gorilla solo riesce -inspiegabilmente- a mantenersi un harem di 2-3 (o anche più) femmine di Gente per volta. Così. Come inspiegabilmente un datore di lavoro preferirà sempre affidare una buona posizione al maschio prestante: tanto per risolvere i problemi c'è qualche scimpanzè sottopagato. Il gorilla ti seleziona all'ingresso del locale e non ti lascia entrare, perchè non sei grosso come lui. Il gorilla ti taglia la strada in macchina e poi ti minaccia. Il gorilla viene a cercarti quando ha bisogno di aprire una scatoletta di tonno e non trova il martello. Il gorilla non si merita nulla e ha tutto. Almeno nella maggiopr parte dei casi ha più di quello che dovrebbe avere.
Poi si dirà, ma in fondo è gentile, ha un gran cuore. Invece lo scimpanzè è subdolo, perchè deve arrabattarsi col cervello per sopravvivere, invece di affidarsi ai bicipiti, e il cervello -si sa- è un'arma sporca, infida e traditrice.
Nella società dei gorilli (si lo so, ho scritto gorilli, con la i finale) funziona così. E chi mi viene a dire che nell'Antaniland i gorilli e gli scimpanzè neppure si guardano e vivono d'amore e d'accordo è un bugiardo in malafede.

martedì 9 novembre 2010

Estimated Cooking Time: 9 minutes

Estimated Cooking Time: 9 minutesNon bisogna vergognarsi di ammettere le proprie necessità, in particolar modo le necessità fisiologiche. Questa piccola considerazione si potrebbe riassumere con: tutti hanno bisogno di fare la cacca. E proprio a questo delicato piccolo intervento di espulsione mi accingevo stamattina, con una certa quale ansia scaturita dall'ingestione -ahimè, improvvida- di un cappuccino bollente mit sfoglia alla mela al bar distante due isolati e quattro ripidissimi piani.
Mi sono sentito assai furbo, però, per essermi dotato in via preventiva di una bella Settimana Enigmistica, comprata al supermercato quasi di slancio (io al supermercato compro SOLO cose che si mangiano) e rivelatasi all'improvviso l'acquisto risolutivo.
Quando si dice: fai lavorare l'inconscio.
Insomma, per farla breve, mi accoccolo sul trono di ceramica, mi rilasso, e prendo in mano le parole crociate. E proprio in quel momento, ecco che l'occhio mi cade sulla cesta delle riviste. In realtà non è una cesta, ma un secchio di plastica, di quelli da spazzatura, per intendersi, pieno di carta da lettura e di carta da culo. Così, alla rinfusa.
Copertina di nota rivista da fìe: solito attore circumquarantenne italiano con barbetta finta-trasandata, sguardo alla "vieni qui che te lo fo vedè io come ti troNbo, ma sono anche un gran romanticone, e ciò un sacco di vaìni" (insomma, il classico tipo che garba alle tipe), in bianco e nero post-artistico che sta bene su tutto tranne che sulle foto di culinaria e attorniato da una sfilza di titolini e titoletti di articoli (?) sul problema annoso della cellulite in Jessica Alba, le grane relazional-sociali di Ratatatangelo e Elioellestorietese, gli amori di qualche nuovo budellone e così via.
Valuto.
Effettivamente le parole crociate di mattinata non sono proprio abbordabili, dato che ieri per mettere metà definizioni del Ghilardi ciò messo due ore. La Rivista invece può darmi quel bel senso di soddisfazione adatta al momento maieutico e non coinvolgermi troppo il sovraccarico ceppicone. Risolvo per la rivista: alla fine, male che vada, ci saranno due (2) cvli.
Saranno sì e no 2-300 pagine di carta patinata. Qualcosa come 20 acri di foresta di betulle finlandese, e probabilmente la colla per mettere insieme il tutto proviene dagli zoccoli delle renne della foresta di cui sopra. La metà delle pagine sono: scarpe. O borse. O vestitini che costano 4-500 euroni. Tutto presentato da ammiccanti giovani ragazze dallo sguardo sfavato, forse perchè mangiano pochi tortelli, dato che non hanno cosce, solo femori color carne, e visi squadrati e tesi come paralumi art-decò. L'altra metà del contenuto è occupata da inutili interviste provocatorie a personaggi "famosi". O da editoriali sulla saggezza di Totò Di Natale (firmato, udite udite, Gad Lerner) o su come conciliare la carriera e l'arte di farsi la ceretta. Ma non è questo il punto. Il punto è che mi metto a leggere uno di questi articoli. Funziona. Saranno le risposte di Ratatatangelo, sarà l'irritante mancanza di professionalità del giornalista, sostituita da una certa abilità nel fare polemiche gratuite che irrita pure me, fatto sta che i miei cinque minuti sul seggio papale scivolano via nel migliore dei modi.
Direte voi: e allora? Ora vi dico allora.
Mentre faccio per alzarmi, proprio appena finito l'articolo, leggo là dove dove dovrebbe esserci la firma del giornalista: TEMPO DI LETTURA STIMATO 9 MINUTI.
Panico.
Io quanti ce ne ho messi? Cosa succederà? Cosa vorrà dire???
Viene qualcuno a controllare? Io sono anche con le brache calate, che figura ci faccio?
Ce l'avranno scritto per mortificare la gente, mi viene da pensare. Una persona normale legge questo articolo in 9 minuti, se te ce ne hai messi di più, cara, sei solo un'ochetta ed è bene che tu inizi a pensare di darti alla politica. No, non è possibile... una persona normale certi articoli non li legge proprio...
Ed ecco l'epifania: un fulmine che mi attraversa la testa. Sarà mica che... che una di queste donne-sempre-di-corsa PRIMA guarda quanto dura l'articolo, poi lo legge se ha tempo? Siamo arrivati a tanto? Siamo arrivati a sfornare pasti pronti in 4 minuti perchè non abbiamo tempo di fare da mangiare. Ora abbiamo anche articoli che durano 5-9-12 minuti, a seconda del tempo che hai. Una vita fatta di buchi. Di ritagli. Una generazione di donne e uomini di fretta, sempre di corsa, sempre dietro al lavoro per fare soldi e lo shopping per spenderli, e più nient'altro. Mangiare è una perdita di tempo. Leggere è una perdita di tempo. Cinema, arte, tutto è una perdita di tempo.
Piccole trottole impazzite, nevrotiche, insoddisfatte e -in ultima analisi- povere. Belle e sfavillanti, piene di ninnoli, col loro moto perenne e la loro aria alla "non ho tempo per te", e senza nient'altro che questo. Neppure il tempo per sentire addosso l'insoddisfazione, l'insicurezza. Come nel moto browniano, quando c'è vuoto, muoviti più in fretta per riempirlo. Finchè qualcosa ad un certo punto si inceppa, e qui subentrerò io e mi ci guadagnerò la pagnotta. Ma nel frattempo, mi deprime vedere cosa siamo stati capaci di produrre. Ratatatangelo: tempo di lettura, nove minuti sciatti. Il Giro di Vite di Henry James, un paio di settimane di full immersion nel torbido dell'inconscio. Come dice un noto imbecille televisivo, liberi di scegliere.