martedì 27 settembre 2011

Il budino di Heisenberg


budinoaranciaLa meccanica quantistica è complicata. Ma, in ultima analisi, non la comprendo meno di quanto comprenda certe persone e certi tipi di relazioni sociali.
Per lo meno, quando si parla di fisica delle particelle, possiamo sempre aggrapparci a leggi fisiche precise che possono aiutarci a predire il comportamento di un certo <sistema complicato>. Con un buon grado di approssimazione, per lo meno.
Il mondo visto alla grandezza di Planck, cioè circa 1.616 per 10 alla meno 35esima potenza, è misterioso e indeterminato, e non segue più le regole della fisica classica, della relatività e del bob ton.
Le particelle subatomiche sono vigliacche e prive di garbo, barano sulla loro posizione, ignorano completamente il concetto di causalità e si scambiano informazioni tramite entanglement quantistico, cosa che sarebbe ritenuta improbabile anche alla Scuola di Manipolazione Arcana del Thay.
Ciò nonostante, per il principio di indeterminazione di Heisenberg, per lo meno UNA caratteristica di tali particelle si PUO' conoscere con una certa accuratezza. Più precisamente: se si considerano variabili accoppiate come, ad esempio, il moto e la posizione, tanto più si conosce l'uno tanto meno si saprà dell'altra. Si può avere una vaga idea del moto di un muone e della sua attuale posizione. Oppure si può scegliere di calcolare la sua esatta posizione in un dato momento nello spazio, senza avere la più pallida idea di cosa farà e dove andrà il muone in questione: potrebbe ad esempio schizzare a velocità ridicola verso la più vicina nebulosa nel quadrante del Cigno, oppure traccheggiarsi ancora un po' in sala corse. Chi lo sa?
Ecco, per le persone è un po' la stessa cosa: abbiamo sempre una vaga idea della loro posizione, delle loro inclinazioni e idee, di come cambieranno rotta. E più crediamo di conoscere una di queste variabili, più il loro comportamento diventa elusivo, scostante, imprevedibile.
E' un po' come spalare acqua con un forcone. O fare i riccioli alle scuregge.
Poi ci sono persone che sono un po' come il Bosone di Higgs. Se ne presume l'esistenza, intuendola dagli effetti che hanno sulla massa circostante, e si può cercare di stabilire un <range> energetico entro il quale cercarle. Ma da qui a trovarle ne passa di plasma negli accelleratori, e probabilmente alla fine della fiera ci toccherà dare forfait e riprendere in mano il complesso di teorie che abbiamo faticosamente messo insieme in anni di studi passionali e passionevoli, per buttare il tutto con malcelata stizza in un cassetto. E ricominciare da capo: capitolo uno, come si concilia la gravità quantistica con la sensazione di ovo sodo in gola che si prova alle quattro di mattina?
E più si va avanti, più si scartano i bosoni, le stringhe, le gravità a loop, e più il tempo passa. Perchè quello -in culo ai neutrini iperluminali- scorre sempre nel solito verso. Per questo c'è chi non ammette mai i propri errori, e va avanti come un ciuco senza imparare mai niente. Troppa fatica, troppa paura. Troppa vergogna, andare davanti alla comunità scientifica e dire: "Errai".
Meglio, specie in campi così indeterminati, così aleatori, insistere a perorare la propria causa, magari tirando in ballo nuove complicazioni. "Il mio elettrone si comporta così perchè è sotto l'influsso di un antiprotone-sbronzo (invisibile perchè relegato in una dimensione ipercompatta) che la sera lo porta a giro nei bar.". Oppure: "No, magari il mio neutrone sembra un viscido manipolatore senza carica, indifferente e bolso, ma è perchè sono io a trattarlo male e pretendere da lui un minimo di collaborazione".
Stupefacente quante analogie si possano trovare tra la fisica e la vita... in effetti la fisica è la scienza che cerca di spiegare il perchè e il come la materia interagisca con altra materia. E qui l'analogia con le relazioni (o forse dovrei dire: i casi umani) diventa lampante.
Almeno per me.
Se per voi non è così non so che farci.
Certo, ci sono cose complicate, in tutti i campi. E più se ne sa e meno se ne sa, se mi si perdona la ridondanza di monosillabi sibilanti.
Un po' come succede per la questione della portanza.
La conoscete?
Funziona così: la domanda base è. Come fanno gli aerei a volare?
La risposta è: per via della portanza. Ovvero, il profilo alare asimmetrico dei velivoli è fatto in modo da far passare l'aria, che ad alte velocità si comporta come un liquido viscoso, un po' sopra un po' sotto all'ala. La parte superiore dell'ala, essendo convessa, ha un'area maggiore della minore, quindi l'aria che si trova sopra si trova a dover percorrere un percorso più lungo di quella che passa sotto. Fin qui ci siamo, no? Bene: percorso più lungo, a parità di tempo, dato che due molecole di aria non possono separarsi e creare un vuoto, vuol dire maggior velocità dell'aria che scorre sulla superficie alare superiore. Ciò crea un effetto "risucchio", che porta l'aereo ad essere trascinato verso l'alto.
Tutto chiaro. Ce lo avevano spiegato così, alle superiori, no?
La domanda è: perchè allora gli aerei possono volare anche capovolti?



Panico.



Se non trovate la risposta, non vi preoccupate. Al momento, l'insieme delle leggi che governa l'aerodinamica è sempre così complicato che questa può essere studiata solo mediante approssimazioni delle varie formule, inserite in calcolatori poderosi & incarogniti.
Il fatto è, tanto per svelare un po' gli altarini, che oltre la portanza, che è una forza normale alla direzione del vento apparente, dobbiamo considerare la spinta, ovvero la forza di propulsione dell'aereo. E la gravità. E la resistenza dell'aria. E la forma del profilo alare. E l'angolo di incidenza. E tante altre cose. Senza commentare il fatto che in realtà, nel calcolo della portanza, dobbiamo considerare l'effetto Coanda, secondo il quale le particelle di liquido (aria=liquido) si legano alla superficie sulla quale scorrono e ne seguono il profilo, con quelle che stanno "al di sopra" del mucchio che "rotolano" invece più velocemente, generando differenti gradienti di pressione e portando il flusso di particelle a seguire il profilo (in questo caso: alare) anche dopo che se ne sono separate. Un po' quello che succede mettendo il dorso di un cucchiaino sotto un filo d'acqua di rubinetto (provate pure). Il risultato è, almeno a basse velocità, un aumento di pressione verso il basso che spinge l'ala verso l'alto, esattamente il contrario del principio di risucchio che abbiamo descritto poco prima (effetto Bernoulli).
Se non ci avete capito un granchè, rallegratevene, perchè ci capisco poco anch'io e di conseguenza mi spiego male.
Il succo della questione è: non si capisce bene come, ma funziona. Possiamo creare modelli abbastanza approssimati, di grande raffinatezza e complessità, sicuro, ma comunque sempre lontani dalla realtà fisica.
Questo vale per tutto: una profonda conoscenza genera indeterminatezza. Nuove soluzioni portano nuovi problemi. Una risposta ci trascinerà di fronte a mille domande.
Come districarsi in tutto questo? La risposta è boh: ognuno ha il suo metodo. C'è chi costruisce modelli sempre più complessi, in cerca della comprensione più accurata, sapendo che non la raggiungerà mai; chi naviga a vista, come facevano gli aviatori di una volta, che invece di stare a fare tanti calcoli mettevano fuori la manina per sentire l'angolazione del vento apparente e calcolare lo stallo (però poi spesso precipitavano); c'è chi se ne sbatte e va avanti uguale, senza mai capire un' emerita cippa di quel che lo circonda, tanto "ci pensano gli altri". Già.
Io non so che metodo sto usando, probabilmente il primo per certe cose, il secondo per altre, chissà.
Qualcuno ha detto che lo stesso problema si dovrebbe avere anche per i budini, allora, dato che per cucinarli non importa certamente conoscere a fondo la coagulazione termica delle proteine.
Ciò nonostante li prepariamo da secoli (forse).
Tutto molto esatto, tutto molto pratico e zen, come piace a me.
Anche se ho ancora un paio di riserve.
Primo: non servirà certo una buona conoscenza della coagulazione termica, ma per cucinare dei budini MANGIABILI serve perlomeno un buon sistema di approssimazione (che noi chiamiamo <ricetta>) che tenga conto di tempi, quantità e temperature.
Secondo: che, salvo alcune notabili eccezioni, le persone non sono budini.

lunedì 19 settembre 2011

La Nausea








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E' girato il vento, e mi girano le palle. Non sono mai soddisfatto, del resto: la soddisfazione è la piaga che accomuna i poveri, quelli inconsapevoli, mentre io sono un povero consapevole, con una precisa coscienza politica, che esprimo al di là delle mie funzioni con velleitaria e stakanovistica costanza.
Ergo: non sono mai soddisfatto per precisa appartenenza di classe, ma anche per indole personale. Da quando ho undici anni ragiono sul celebre aforisma di Asimov sul "desiderare solo e soltanto ciò che si può ottenere". Un concetto che in un mondo perfetto sarebbe anche giusto. Ma dopo vent'anni di studio, che non me ne voglian il Buon Dottore e le di lui Basette, mi sembra una gran cazzata.
Io desidero, e basta. Che la cosa possa o meno ottenerla non cambia il fatto che la desideri. Troppo facile accontentarsi di ciò che si può avere. Troppo paraculo, troppo vile, non sono strutturato così, e se questo mi causerà problemi, ben venga, ormai ci sono avvezzo.
Gira il vento e porta il freddo e l'acqua, con questi tramonti arancioni su cieli viola malva; porta gli sternuti, le tasse, il Livorno che vince due partite di fila e la prospettiva di un autunno austroungarettiano.
Gira il vento, ma resta sempre, anche di più, una violenta caligine in lontananza, che mi indispone coni e bastoncelli, e non serve a nulla farsi gli occhiali. Non è astigmatismo, è la nebbia di guerra di Von Clausewitz (quel vecchio trombone), quel velo simile a foschia che ammanta tutto quello che non è di nostra conoscenza, tutte le informazioni a metà, quelle vere e quelle false, esponendoci a cariche improvvise e a salve di artiglieria che possono abbattersi sulla nostra (pl. majestatis) pontificia chiorba daummomentallaltro (cfr. Queneau, "Zazie dans le métro").
Strizzando gli occhi ho cercato spesso di vederci chiaro e la cosa mi ha fatto girar la testa, e venire la nausea. E ora questo sento: una profonda nausea di vivere, come quella di Sartre. O per lo meno un po' di pìllone, come si dice qui...
La nausea (o il pìllone) che scaturisce dalla distanza, anzi no, dalla presa di coscienza della distanza. La distanza filosofica e morale tra chi si tiene i paraocchi e va avanti per inerzia, convinto di dare un senso alla propria vita, e chi s'è reso conto che un senso non c'è, e scruta nel'Abgrund terribile di un'esistenza depauperata di uno scopo preciso.
Sartre ne faceva un problema esistenziale, io sono più pragmatico. Che la vita, nella sua accezione più vasta, sia priva di senso o di scopo non mi preoccupa più di tanto. D'altronde, perchè dovrebbe? Cosa cambia?
Però questa consapevolezza può portare a farsi venire degli attacchi di bile, quando si vede che c'è invece chi si affanna a dare un perchè a tutto questo carrozzone, e che indefessamente, come un'ottusa termite, ammassa piccole morule morali nella testa radamente innervata, con la malagurata intenzione di farle fermentare in abbozzi di principi e di idee, tentativo che -va da sè- si risolverà in un aborto senza appello, se va bene, o in un'illuminazione religiosa, se va male. Perchè è inutile: se il cervello ti sfiata come una caffettiera non è colpa di nessuno, ciò nonostante la S.V. è pregata di lasciare ad altri la soluzione dei Complessi Problemi dell'Esistenza.
Un po', per chiarificare, come vedere il Bonolis di turno che fa la sua bella trasmissione dal titolo: "Il Senso Della Vita". Come se quella ridda di casi da baraccone che sciorinano le loro esperienze melense con disgustosa rufianeria fossero detentori della risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto. Macchè, buona fortuna caro Bonolis, se pensi di cavarci qualcosa di buono. La risposta è 42, non c'è molto altro da chiedersi. E' proprio la domanda che è mal posta, in effetti. ("Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda.", Cit.).
Sartre la risolse in modo abbastanza geniale, la questione, almeno sulla carta.
Quel che da senso alla vita sono i momenti perfetti, quelli che non hanno bisogno di spiegazioni.
E qui mi trova -again- d'accordo.
Lo diceva anche quel maccartista di Gerrold: non farti domande se le tue azioni sono efficaci. Qui si potrebbe rovesciare la sentenza in: se non ti stai facendo domande, vuol dire che le tue azioni sono efficaci.
Se vi state chiedendo qualcosa, non fatelo. Se avete dei dubbi, fermatevi. Oppure fate come vi pare, d'altronde non mi date mai retta, basta che poi non veniate a lamentarvi, perchè potrei dirvi "Ve l'avevo detto!": la mia frase preferita.
Odio dirlo, in realtà.
Qualcuno dirà: bè, ma se si fa così non si fa più nulla. Ci sono sempre dubbi, incertezze... mica si può rinunciare a vivere.
E qualcun'altro risponderà: perchè no? Alla fine non è questa la base di quel buddismo che va tanto di moda? E in ogni caso, basta che siate ben coscienti che le cause dei vostri dubbi non potranno mai portarvi a quei momenti perfetti, quegli stati di illuminazione che non hanno bisogno di spiegazioni e che rendono la nausea un po' più dolce. Non c'è verso. Non affannatevi: prendetele per quel che sono. Ovvero: situazioni fallimentari, destinate all'incompletezza. Si vive anche di questo, in qualche modo, bisogna pur strisciare lungo le nostre giornate. Il concetto non è così complicato, se c'è arrivato anche uno come Pieraccioni, che con tutto il bene che gli voglio (poco) certo non è Feynman. I giorni memorabili nella vita di una persona sono due o tre. Il resto, fa volume.
E ora piove, anche, e Bobo Rondelli mi canta di dolori prepotenti e di angosce tridimensionali. Anche a lui l'apparato digerente non funziona più bene, è un caso comune.
Un caso comune a chi usa il linguaggio per raccontare, si tratti di pittori, registi, scrittori o musicisti. Sempre la stessa solfa. L'arte è una via di uscita dalle marcescenze dell'esistenzialismo fine a sè stesso (viene dal greco, vuol dire: saggezza).
Raccontare e raccontare e poi raccontare ancora, fino allo sfinimento, gettare in pasto ai porci mille perle, produrre qualcosa con le proprie mani, inanellare ragionamenti logici o meno logici, esprimere concetti, mescolare idee e riarrangiarle, essere creativi e originali, in ogni caso sempre e comunque con militanza severa ma giusta, come diceva Jean Paul. Lo scrittore è impegnato per definizione. Lo scrittore scrive per la società dei giusti e degli iniqui. Lo scrittore è -voglio esagerare- un eroe odierno, un eroe di guerra.
E l'arte, l'amore e l'anarchia sono le uniche vere guerre di questo secolo.
Tenendo bene a mente queste cose, forse potremo tirarci fuori da questo lago di sangue e merda dove gli altri affogano, coi loro cellulari, i pantaloni da 400 eurI (si dice eurI, non lo ripeterò più) e le piastre per capelli.
Tutto questo val bene la fedeltà alla linea, specie quella che non c'è.
E scusate se è poco.