martedì 12 aprile 2011

Look left

   Summer





Nacqui, come David Copperfield, poco dopo la mezzanotte di un venerdì (o almeno così mi hanno detto) di fine Luglio. Prodigio letterario e prodigio infausto, se si dever dar conto a Dickens, ma alla fine credo che non si debba poi molto, essendo Dickens un vecchio reazionario ottocentesco.
Di tutte le maledizioni che le vecchie levatrici avrebbero potuto scagliare, l'unica che ha attecchito è quella che riguarda l'estate.

E' così, sono sensibile come un fusibile per natura, sfortunato per inclinazione e solitario per abnegazione, e l'unica stagione che concepisco è l'Estate, che si intervalla -come tutti sanno- con l'altra stagione umana che è "I morti".

E adesso Zefiro torna e 'l bel teNpo rimena.

O bravo.

E con esso: raffreddori, fortori, sciatica, mosciume, sonnolenza, appetiti della carne e y dei cvli sugli scalini.

Tant'è, è la ruota cosmica, il bel fluire delle stagioni, e sono contento di vedere finalmente un pò di verde fare capolino sugli alberi, tanto per ricordarsi che siamo sopravvissuti al peggior inverno da quando mi dovetti umiliare -coi piedi nella neve- davanti al castello di Canossa.

O era un altro? Ormai non ricordo più molto bene.

Resta il fatto che il risveglio della natura è mirabile, e io lo miro dall'alto del mio quarto piano, sorseggiando una guinness fresca e spipazzando come un afghano.

Un pò come Enrico IV, che dopo essersi prostrato tre giorni e tre notti, durante una tormenta di neve nel peggior Gennaio che si rammenti, davanti al papa vigente (ecco chi era!) bèn risolse di tornare in Germania a preoccuparsi dei fatti suoi e della di lui successione.

Gli uomini tutti d'un pezzo sòn fatti così, si inginocchiano per comodo, ma poi se gli fate girare le pallette, come successe col buon Enrico, adottano il piano B: genocidio e testate negli zigomi. Infatti dopo la seconda scomunica il nostro caro imperatore sacro e romano non si sgomentò più di tanto: umilato si era già umiliato, visto che la cosa non rendeva più di poco si decise nel mettere a ferro e fuoco Roma, deporre il Papa e tornarsene -avanti che arrivassero i Normanni- a svernare nelle langhe al di là del Reno, in pace con sè stesso e con la sua autorità.

Tutto questo a che pro? Per dirvi di quanto malsopporti il freddo, l'inverno e le umiliazioni.

Noi uomini di un'altra schiatta un'offesa non la dimentichiamo mai, e nutro una profonda stima per il Sacro Romano Eccetera, per come ha devastato l'Urbe e per come ha risolto il mal di testa usando la decapitazione.

Altri tempi.

Ma tornando a bomba, Zefiro è davvero tornato. Ha impennato gli alberi sotto casa mia (informazione tendenziosa & fasvlla) di verde e di smeraldo, ha fatto tornare le gore sotto le ascelle e ha ignudato le signorine.

Bravo Zefiro, che tutti gli anni riede a farci starnutire e girare le palle.

Perchè se da un lato questo bel tempo che ritorna mi mòlce il còr, dall'altro mi fa star male.

E il perchè lo sapesse chi lo sa... ma non lo sa neppure lui, dev'essere una qualche sorta di nostalgia per qualcosa che non ho già avuto ma che mai avrò.

So solo che mi sovviene spesso di pensarci quando viaggio -per esigenze di studio- su e giù, qua e là per la Litoranea e attraverso la Bucolica fino a Firenze e ritorno.

E' la triste condizione del migrante: qualche decennio fa Mr. Miller mi contattò per un suo progetto che si chiamava "Travasi di bile di uno studente pendolare", ma poi si risolse per far morire un commesso viaggiatore. A volte il destino.

Ma tant'è.

E' cambiato il proscenio, questo sì, il teatro, le lontane quinte inaridite attraverso le quali sfrecciavo mesi fa sulla mia Torpedo Nera (poti poti) sòn diventate verdi, un'esplosione di lussureggiante e irriverente beltà.

Quanto mal s'accorda tutto ciò ad uno stato d'animo indefessamente prono sul rancore e sulla vendetta trasversale, quale la natura m'ha dato d'avere.

E allora, l'altro ieri, mentre correvo ai cent'all'ora verso la disfatta, m'ha colto un'epifania.

Ed ho voltato la testa alla mia sinistra.

Vi consiglio, miei signori, di farlo solo quando siete su di un rettilineo ed a bassa velocità, o rischierete (come me) di grattugiare i fianchi della vostra vettura sulla staccionata che divide la strada dal mondo degli Umani.

Ma così vedrete anche voi.

Perchè mentre si guida, si tiene sempre la testa incollata sul centro o sulla destra, e così facendo si evitano speronamenti, d'accordo, ma al prezzo di perdere metà della bellezza del creato.

Anzi, qualcosa di più di metà, perchè la bellezza sta a sinistra per vocazione ed ideologia, c'è poco da fare.

Io ho vòlto la testa al di là dello specchio, ed ho rimpianto subito di non aver avuto con me la fida macchina fotografica, che non so usare ma che uso lo stesso, come chi canta male sotto la doccia o chi sgraziatamente cucina per sè stesso.

Strappi di fiori gialli come l'oro di Mida su campi del verde della gioventù, nuvole che si addossano caparbie a colline indifferenti nell'azzurro della loro lontananza, auto che ci incrociano senza saperlo, cariche di storie inedite che non conosceremo mai, borghi sorti dal nulla di un barlume di ricordo, e la strada che ci viene incontro come un tappeto alla corte del Gran Muftì.

Tutto questo solo con un piccolo movimento inconsueto, che quasi mai facciamo.

E' dove non guardiamo mai, dove non abbiamo mai vòlto lo sguardo, che si cela un barlume di bellezza e di verità che mai avremmo sognato di vedere.

E poco importa se subito dopo la strombazzata del Tir guidato da un cafone moldavo ci riporta alla realtà della nostra corsia: volgere lo sguardo, sia pure per un minuto, val bene la messa.







































mercoledì 6 aprile 2011

Happiness is overrated

__sad_bunny___by_lolita_art
I lavacri sono una manna dal cielo. Senza lavacri sarei morto già diverse volte, sia fisicamente che intellettualmente. Le abluzioni ristorano il corpo e restituiscono la giusta dimensione ai pensieri. Insomma: mi piace fare la doccia, e chi ha passato del tempo con me sa che ne faccio numerose e che nel frammentre canto. E penso.
L'amore per i lavacri ha due radici: etrusche per quanto riguarda la cura del corpo, pontificie per quella dell'anima.
D'altro canto, mentre la mia gente costruiva acquedotti e terme qualcosa come tremila anni fa, il resto dei barbari d'oltremare e oltrappennino si lavava i denti con rametti di abete e costruiva case di cacca di cammello.
Ma non volevo parlare dei miei bagni. Volevo solo dire che, dopo diversi anni di assenza forzata dalla scrittura (informazione esagerata) sono tornato a produrre un pensiero critico proprio sotto la doccia. Come sempre, del resto.
Pensavo alla felicità.
E mi dicevo che l'ignoranza è un bene, almeno per me. Mi spiego meglio: l'ignoranza è il bene più grande delle persone con un minimo di senno e la condanna degli idioti.
Mi spiego ancora meglio, per quelli di voi ottusi come il fondo di un baule.
Chi è scemo è scemo. Fine. Buon per lui, si dice qui. "Bòn per te che non capisci una sega", anzi, è la locuzione giusta in provenzale (cfr. Jean De La Gavette, "Je te donne moi le bacon", 1443).
Quindi chi se ne va per il mondo gonfio di aria stantia come un barile in disuso, senza curarsi di ciò che lo circonda, sarà felice o triste a seconda di ciò che gli capita e che lo tange, ad esempio una martellata sul pollice mentre appende un quadro di Gattuso o un molare scheggiato mentre addenta un panino cipolla & calcinacci. Che bella vita, mi viene da pensare, per queste persone che si bevono ogni bischerata.
Per chi non ha invece i tratti dell'uomo di Cro-Magnon le cose sono più difficili. Sapere è una condanna, intuire una doppia condanna, avere ragione delle proprie nefaste intuizioni una sciagura vera e propria.
Quante volte vi siete sentiti raccontare cazzate e avete soprasseduto? Quante volte avete preferito ignorare cosa stesse succedendo, perchè il solo pensiero vi faceva star male? E quante volte avete provato quella inesorabile certezza che le vostre pessime sensazioni sono -in verità- assai prossime alla realtà? Diceva un famoso gobbo: a pensar male si fa peccato, ma si indovina. Ecco, c'è poi chi di questo ne ha fatto una scienza quasi esatta.
Tendenzialmente, il ragionamento vale per tutto: dai rapporti politici internazionali al coniuge infedele. Potete -con un pò di impegno- cavarvi da soli il ragno dal buco, una volta individuato il buco (e non a tutti riesce: è la cosa più difficile, trovare il buco). Basta un pò di buona volontà. Non ci vuole il professor Ekman, e neppure si deve studiare Borg e la sua prossemica. Basta andare dietro all'istinto, se l'avete abbastanza allenato, e potrete capire se le persone intorno a voi vi raccontano immani cazzate, se nascondono qualcosa per non farvi star male, dove sono, cosa fanno e perchè lo fanno. Basta averci l'inclinazione, e io, a dispetto dei miei studi, ce l'ho sempre avuta. Ma non l'ho mai assecondata molto, perchè.
E' molto, molto faticoso.
La gente, e qui ci metto anche me e voi, mio aulente pObblico, ha un quantitativo di energie limitato e non può sempre stare all'erta per ogni cosa. E allora ecco che succede il miracolo dell'ignoranza.
Mogli con mariti palesemente fedifraghi che negano l'evidenza, genitori che si bevono le storie su vento e motorini di figli drogati e con gli occhi arrossati, matrone che si inginocchiano a mangiare il corpo di cristo e nefasti personaggi che -nel buio della cabina elettorale- mettono croci su partiti-azienda di dubbia moralità.
Allora mi dico: l'ignoranza è un bene. Ma non quella finta di chi non vuol vedere. Quella vera degli stolti.
Per chi ha un grammo di sale in zucca non ci sarà mai la vera felicità.
Fatevene una ragione, è così. Smettete di dibattervi come pesci nella padella della Gran frittura.
Se siete felici o siete stupidi o non state tenendo conto di qualcosa.
Certo, perdìo, ci sono momenti di felicità per tutti. Ma quanti saranno mai? Quanto potete rimanere felici?
Io, personalmente, credo di essere stato felice tre volte dalla mia pubertà, intendo veramente felice, e contento forse una dozzina. Mai per più di tre o quattro ore di seguito, comunque.
Forse è solo un cruccio mio, ma mi sento di essere in buona compagnia se ripenso a quanti prima di me hanno dato fiato alle penne per scrivere aforismi sulla felicità che suonavano più o meno come quello di Schopenhauer. Il pendolo tra il dolore e la noia. O la storia dei due ricci. O la concezione della vita di Allen: l'esistenza è divisa in due categorie, l'orribile e il miserrimo. E allora ci va bene il miserrimo.
Il punto infatti è proprio qui, in ultima analisi. La ricerca della felicità, costituzionalmente approvata, è una favola come quella di Babbo Natale (spero di non aver lettori preadolescenti, o mi vedrò costretto a metter mano agli avvocati). L'unica ricerca possibile è quella di non essere tristi. Perchè in effetti questo ci resta, come esseri umani: se considerate bene la situazione, se vi guardate davvero dentro, potete candidamente ammettere che felici lo siamo stati raramente, e tristi molto più spesso e spesso in conseguenza di ciò che ci rendeva felici. E allora cerchiamo di non essere tristi, "basta che funzioni" diceva il genio cineasta ebreo. La ricerca della medietà, della situazione che non ci renda malinconici, che ci faccia stare meno male, che ci dia il minor numero di rimpianti.
E cerchiamo di fare i conti con l'infelicità, che al contrario della felicità è ben popolata.
Lo sapeva bene un altro grande personaggio, che è stato il mio Virgilio alla scoperta dei sentimenti umani. Sto parlando di Charlie Brown.
E voglio lasciarvi con questa immagine. Si tratta di una vecchia striscia, forse degli anni settanta, una delle striscie del periodo di Natale, quando a Charles veniva la depressione da festività (le altre due grandi depressioni erano associate a San Valentino e al campeggio estivo, mentre la riapertura della scuola non causava al vecchio nessun problema: peculiare come Charles soffrisse solo nelle situazioni di gioia estrema -almeno per gli altri-) ho perso il filo.
Ma il succo è: in questa striscia qualcuno augura a Charlie Brown un felice anno nuovo. Passano due vignette con lui che passeggia a testa china. Poi si gira e fa: "A proposito... che cosa vuol dire 'felice'??".
Ecco, questo è il succo.
Charlie Brown è triste perchè SA. E' depresso perchè sa di essere triste. Perchè è il bambino più intelligente e sensibile, e di conseguenza è il bersaglio degli altri bambini, quelli "felici". O che almeno credono di esserlo.
Perchè poi, lo sono davvero?
Linus, con il suo Transizionale mai risolto, Lucy, arrogante e sociopatica e costantemente depressa, Schroeder, il monomaniaco del piano, incapace di relazioni umane... e potrei andare avanti così per chiunque.
Loro non lo sanno, di essere infelici, quindi sono contenti.
E' come il calabrone che vola perchè non sa che non potrebbe farlo.


E adesso non preoccupatevi se vi ho depresso, e non me ne vogliate.
Come già ho scritto, la felicità è un concetto sopravvalutato.
Ricordatevi questo, e sarete felici.