lunedì 24 dicembre 2012

Rock, paper, mirrors.




Un'informazione è un'informazione se la sua presenza contribuisce a ridurre il numero di scelte possibili.
Sembra una cosa scontata, ma non lo è per niente.
Mi è capitato di pensarci quando -in auto- percorrevo la solita strada, su e giù, giù e su come l'asticella di bambù in una fontanella zen. Mi capita sempre, d'altronde, di pensare quando migro: il fatto è che l'unica compagnia che ho in viaggio sono l'Aradio che spara musica poco alla moda e una piccola impronta di un palmo di mano sul parabrezza, che d'inverno fa la sua comparsa stagliandosi sulla condensa come il fantasma di un castello scozzese.
E no, non ho nessuna intenzione di pulire il mio parabrezza, se è quello a cui state pensando.
Piuttosto, torniamo a bomba: un'informazione è eccetera eccetera.
Per rendere tutto più chiaro, potrei dirvi che mentre stavo guidando, con un occhio ai cartelli dell'autovelox e uno al minaccioso SUV che sfanalava alle mie spalle, mentre cercavo di intralciare il più possibile il suo cammino e di farmi sorpassare proprio in prossimità della macchinetta diabolica per far prendere una bella multina al suo inconsapevole conducente, innumerevoli pensieri mi attraversavano il cervello, silenziosi come un corteo della UIL e altrettanto sciocchi e privi di mordente.
Pensavo che sono una merda, e che alla fine sono anche pieno di astio e rancore verso il prossimo.
Pensavo che finalmente è arrivata la Natività di Gesoo Cirpo, così ci si fanno gli auguri e poi non ci si pensa più, ché a me le feste mettono ansia e nostalgia e una certa quale inquietudine.
Pensavo che in effetti, quando l'autunno fa cascare i pensieri dagli alberi, è inutile il rastrello.
E pensavo pure che quest'inverno ha una tonalità strana, è un inverno marrone in basso e color grigio Cupertino là dove ha meno importanza.
Poi il SUV mi ha superato a tutta gargana, l'autovelox ha fatto (forse) il suo dovere e io ho rallentato per godermi la scena.
Tutte queste cose che ho detto, in fin dei conti, non sono proprio informazioni, nel senso stretto del termine. Nessuna di queste cose vi servirà nella vita a ridurre il numero delle vostre scelte possibili.
Di solito è così per il novanta per cento delle cose che si dicono: si parla per parlare, tanto per, senza una vera intenzione. Se ne dicono di cose, in cielo e in terra, caro Orazio... ma la tua filosofia non se ne cura.
Allora vien da pensare che il vero problema della nostra esistenza sia la comunicazione. Le informazioni. Il significato delle cose che diciamo.
Viviamo in un mondo attraversato da migliaia di nozioni, di messaggi, di stimoli. Siamo a bagno in questo minestrone di insulsità e ci cuociamo lentamente come la proverbiale rana nella proverbiale pentola. A fuoco lento, e senza accorgercene.
Non ci curiamo della qualità degli stimoli che recepiamo nè di quelli che noi stessi produciamo, non consideriamo le categorie essenziali, non comprendiamo veramente il significato delle cose più di quanto un masai riesca a comprendere l'utilità di un maglione a collo alto.
Fortuna che avevo ancora diversi chilometri da percorrere per approfondire la questione, così ho deciso di abbassare l'Aradio (CSI - Tabula rasa) e di alzare un pò il piede dall'acceleratore che stavo pestando come se sotto ci fosse la coda di un micino.
Una categoria sono le informazioni, e ne abbiamo parlato.
Poi ci sono le credenze: ovvero. Quello che noi pensiamo di come sia organizzato il mondo, cosa pensino gli altri, il perchè delle loro azioni e così via. Le credenze non sono deduzioni, sarebbe bello. Una deduzione presuppone un ragionamento logico, e non molti sono in grado o hanno voglia di farlo. Oppure, magari non hanno semplicemente abbastanza informazioni. Quindi: procediamo per lo più per credenze. Ci aspettiamo che qualcuno ci telefoni, che la polizia non fermi proprio noi quando siamo sbronzi, che il papa dica scempiaggini sui finocchi e che la commessa del negozio sia cortese. Credenze.
Come quelli che credono che domani rinasca Gesoo.  E' uguale.
Poi ci sono le azioni e le reazioni. Atteggiamenti, per lo più. O omissioni. Un'azione potrebbe essere sferrare un pugno in faccia a chi ci sta -a torto o meno- sul gargarozzo. La reazione potrebbe essere che il gaglioffo in questione schiva magistralmente e ci colpisce sui denti. Oppure un'azione potrebbe essere che ci dimentichiamo di un appuntamento, e la reazione potrebbe essere che la persona che si stanca di aspettarci ci telefona per sapere dove diavolone siamo finiti. Oppure ancora che si sfava e se ne va. O, se va particolarmente male, che ci pianta in asso e fine. Sono tutte reazioni possibili, e in una certa misura pure adeguate. Quando la reazione non è adeguata si chiama la neuro, di solito funziona così, ma non sempre.
Poi ci sono le sensazioni, che sono quelle cose che difficilmente riusciamo a comunicare. La frustrazione, il dolore, la rabbia, la malinconia... Tutte queste cose non sono altro che fluttuazioni di alcuni neurotrasmettitori nel brodo che culla il nostro cervello. Serotonina, adrenalina, GABA, dopamina e compagnia cantante. Purtroppo siamo talmente stupidi, a volte, da attribuire a questi stati di alterazione una componente quasi magica e mistica, trascendentale, per cui non solo non riusciamo a darci una spiegazione effettiva delle nostre sensazioni e non riusciamo ad affrontarle, ma spesso non riusciamo neppure a descriverle.
Ma voglio per una volta esservi di aiuto, dato che è Natale e io divento di conseguenza più buono e più biondo. Per affrontare le sensazioni spiacevoli basta aspettare che la molecola in questione, responsabile dello stato di agitazione, si disgreghi naturalmente da sola. Quindi: sedetevi, prendete un buon libro, e aspettate che passi.
Per comunicare, invece, basta aprire la bocca e pronunciare sinistre frasi del tipo: "Mi sento in collera" oppure "mi sento agitato". Non, badate bene, "Sono arrabbiato". Non confondete la sensazione con il principio di identità: voi non siete le cose che avete, non siete il vostro lavoro o il vostro ocnto in banca e non siete neppure il vostro stato d'animo. Le fluttuazioni emotive non hanno la minima importanza, perchè sono transitorie, labili e scostanti. Concentratevi solo su quelle, e potrete dire addio alla vostra sanità mentale.
Oltre a questo ci sono altre cose, come le pulsioni, gli istinti, le decisioni... potremmo passare la serata a categorizzare, ma voglio venire al punto prima di annoiarvi troppo e prima di sembrare uno di quegli squinternati che aspettavano l'arrivo delle astronavi dei Maya con un cappello di stagnola in testa e il sorriso triste del macaco sul volto.
Cerchiamo invece di restringere il campo.
Un po' come il nido distoglie lo sguardo dal ramo.
Il punto è il significato.
In ogni caso, quando parliamo, come diceva il buon Bruner, facciamo una narrazione.
Sia che raccontiamo della nostra giornata, sia che teniamo una lezione al MIT, sia che stiamo litigando col partner oppure vezzeggiando un cane, sempre di narrazione si tratta, e una narrazione è -in ultima analisi- una storia, un racconto.
Questo passiamo la vita a fare, tutto qui. Passiamo la vita a raccontarci storie.
E questo è quello che molti chiamano "Il senso della vita", anche se in senso della vita è tendenzialmente che finchè si respira va tutto bene, e che quando le cose si complicano si arriva ai cipressi, ma tanto a quel punto la cosa non ci riguarda già più.
In definitiva: siamo una sorta di suppporto attraverso il quale le informazioni si perpetuano.
Siamo il mezzo di riproduzione dei memi, di tutti quegli input che passano da millenni da un individuo all'altro, e accrescono il bagaglio culturale della specie. Un po' come i neuroni fanno con le scariche elettriche. Ecco, siamo una rete di server connessi l'un con l'altro, che si scambiano storie. Niente di più.
Ecco.
Ecco perchè è importante saper comunicare. Perchè è importante sapere cosa si dice e cosa si ascolta. Ecco perchè è importante capirsi, e non è una cosa da poco, anzi, se trovate qualcuno che vi capisce davvero avete trovato -fortunelli- il bene più prezioso che esista.
Un canale di narrazione efficace, veloce, senza fraintendimenti.
Perchè sono i fraintendimenti che ci uccidono un po', dentro.
E allora ripensate spesso al significato delle cose, al significato stesso della parola "significato". Cosa vuol dire quello che dico? E' pertinente, adeguato, comprensibile? Sono stato capito? E io ho capito davvero quello che è il significato della narrazione che ho ascoltato? La mia risposta era in linea, utile, coerente? E le risposte degli altri lo sono?
Questo è tutto quello che ci serve sapere. Le regole del gioco per mettere in relazione le varie categorie. Come per sasso, carta, forbice. Le cose non migliorano quando diventano complicate, ma ricordiamoci che spesso siamo proprio noi a complicarle, a passare la vita a cercare modi originali di incasinare tutto.
Certo, è divertente, però. Più di sasso, carta, forbice.
E mentre mi sorprendo a pensare che in effetti lo è davvero, in una maniera un po' terrificante, lo concedo, arriva un altro SUV e mi distrao.
Per quanto, in un momento di oggettiva lucidità, mi renda conto che le cose, nello specchio retrovisore, sembrano sempre più minacciose di quanto sono in realtà.