mercoledì 30 maggio 2012

Oltre il sandalo






Si narra che, ai tempi dei tempi, quando la televisione non era ancora stata inventata e i terremoti sì, ma avvenivano giustamente in silenzio nel disinteresse dei popoli lontani, il grande pittore Apelle (sì, quello della famosa palla) stesse dipingendo un ritratto (sì, proprio in quel momento).
Dato che Apelle era il più grande pittore della grecia antica, e questo voleva dire a quei tempi essere il miglior pittore del mondo conosciuto, è facile immaginarcelo vagamente tronfio e borioso, oltre che basso, segaligno e col naso aquilino, chè se fosse stato alto dieci cubiti e muscoloso come Ermes non avrebbe fatto di sicuro il pittore ma tutt'al più l'atleta o il soldato, mestieri tenuti assai di conto in quella società di guerrafondai e tagliagole.
Quindi, c'era Apelle che dipingeva, quando ad un certo punto arriva un ciabattino e inizia ad esaminare il dipinto del nostro, trovandolo insoddisfacente.
Ora faccio una piccola digressione.
La vita è piena di ciabattini.
Mi spiego meglio: la vita è piena di infiniti cialtroni, di parassiti, tronfi strusciatori di muri e saccenti di abissale ignoranza che si spacciano per grandi artisti, letterati, critici ed esegeti, e raccolgono il più delle volte pure il plauso e l'ammirazione di tutti quei poveri babbalèi che non riescono a distinguere un uomo di valore da un disutile ammasso di macinato e una farfalla monarca da un boiler da 25 litri. Beati monoculi eccetera...
Questi individui, che solitamente presentano un livello di abilità che definire amatoriale è un complimento, per di più in campi molto ristretti (i.e.: il suonatore di bonghi, il collezionista di farfalle, il regista di cortometraggi di questa ceppa di minchia, et sequitur), hanno la peculiarità di sentirsi assai in gamba e del tutto "arrivati", arrivati poi a cosa non si sa, ma è un termine che usa negli ambienti "in" quindi lo userò anche io; ed hanno una distorta ed ipertrofica immagine di sè, della loro collocazione ed importanza nel mondo e di tutto quello che gli è dovuto e concesso.
Un umwelt piuttosto peculiare, verrebbe da dire, senz'altro appannaggio dell'ottenebrazione dei di loro sensi e del di loro comprendonio, frammisto a vaghe forme adulatorie che promanano da coloro i quali neppure le capacità amatoriali in campi ristretti (e così alla moda, diciamocelo) hanno, e si accontentano della gloria riflessa, o per lo meno di quei timidi barbagli che colgono nel povero di spirito e sostanza, essendo quelli che di spirito e sostanza ne son ricchi troppo incomprensibili alle menti semplici.
Ho perso il filo.
Per farla breve: questi loschi ed oscuri personaggi non solo hanno il cattivo gusto di aggirarsi per il mondo e di consumare ossigeno, cosa di per sè deplorevole: non paghi, leggitimati a ciò dalla vana adulazione dei mentecatti che li stimano assai ganzi e à la page, si impicciano con fare sussiegoso delle altrui faccende, pronti a metter il non richiesto becco un po' in tutti i campi, specie in quelli dove la prudenza e la consapevolezza dei di loro evidenti limiti dovrebbero suggerirgli un più consono riservo.
Fanno parte della categoria i vecchietti che criticano i lavori, le comari pettegole e zitelle, il capoufficio che vuole dirvi come fare il vostro lavoro, quelli alternativi perchè hanno i capelli sudici e brignoccolosi e voi no, quelli che commentano i film ma pensano che Cinemascope sia la cooperativa che pulisce le sale di proiezione, gli artisti di questo pajo di zavorre, quelli che riescono a sembrare intelligenti perchè parlano poco e quando lo fanno non si capisce mai che stracazzo dicono e gli improvvisati dietologi/filosofi dell'alimentazione alternativa, bio e salutare nonchè macrobiotica e vegana.
Ma non è tutta colpa loro, beninteso: la colpa è di tutti quei tangheracci che continuano a dargli importanza. Per fare un esempio molto facile: per me un vegano potrebbe avere qualcosa da insegnarmi se avesse la pelle verde e provenisse per l'appunto da quella stella della quale porta impunemente il nome. Per qualcun'altro invece no.
E questo è il motivo per cui votare il Dvce sembrava ai più una buona idea. E a me no.
D'altra parte, cosa ci vogliamo aspettare da un popolo incapace di rispettare le file del bus o di tirare l'acqua del vaso, un popolo che casca in tutte le baggianate che finiscono su internet (scie chimiche, Haarp, alieni che disegnano cazzi nei campi di grano, profezie di popoli estinti per un banale rinovirus, catene di santantonio destinate a raccogliere fondi per un bimbo del Uaioming malato di xenofluorite dissociante venosa...) ho riperso il filo, oggi sono distratto. Capita quando le cose si prendono ariose, ma riedo subito sul seminato.
In ogni caso, stabilita la gerarchia delle colpe, va da sè che non bisognerebbe essere molto tracotanti: al contrario bisognerebbe essere affatto cauti. Si può essere pieni di sè e dare le pappine in testa al prossimo senza voler per forza aver ragione in campi che non ci competono, specie se siamo ignoranti come le capre zucche, sennò si rischia di fare la fine di Antioco.
Antioco era Re dei Seleucidi, ed era un uomo assai tronfio. Un bel giorno che pioveva che dio la mandava, decise di affrontare i romani, che stimava inferiori in battaglia, in una amena località dell'anatolia.
I romani erano effettivamente inferiori, sotto alcuni punti di vista: alle legioni, pur temibili, del'aquila repubblicana il buon re mediorientale poteva opporre spregiosissimi elefanti corazzati, terrificanti carri falcati che seminavano morte e desolazione ovunque passassero, la superba cavalleria catafratta, corazzata da capo a piedi e innumerevoli arcieri orientali con potenti archi composti.
Andò a finire che la pioggia bagnò gli archi, rendendoli inutilizzabili. Poi i romani presero a sassate i cavalli legati ai carri, facendoli imbizzarrire: questi, senza controllo, finirono dritti sulla lentissima cavalleria catafratta, facendo un macello. Nel contempo, anche gli elefanti pensarono bene di farsi prendere dal panico, travolgendo le file di falangiti macedoni, scompaginandone le linee ed esponendoli al massacro.
Fu così che il tiranno trovò la rovina per aver fatto troppo affidamento sulle sue risorse: di errori di calcolo delle proprie forze spesso una volta si periva, ora è più facile fare una figura barbina e basta, ma il senso è quello.
E dato che piano piano ci siamo avvicinati alla Grecia, non ci resta che fare il salto dei Dardanelli e ritornare dal nostro Apelle, che alla fine da lui siamo partiti e di lui ci interessa.
Eravamo al punto ove il ciabattino stava esaminando il dipinto di Apelle. E, non resistendo alla tentazione di criticare, dato che di calzari se ne intendeva più del pittore, fece notare a quest'ultimo come avesse mal rappresentato il sandalo del soggetto disegnato. "E questo qui sarebbe un sandalo?" stronfiò, storgendo la bocca "Sembra più che il soggetto abbia pestato una merda." Apelle, che era sì tronfio ma anche intelligente, si rimise al giudizio del ciabattino, anche se in cuor suo, se avesse potuto, lo avrebbe fatto sbranare dai cani. Cancellò quindi la parte incriminata, correggendo, secondo i dettami dell'esperto, la raffigurazione della babbuccia della discordia. Una volta soddisfatto questo capriccio, il ciabattino ci prese gusto, ed iniziò a criticare con alterigia tutta una serie di particolari che, a suo parere, erano mal raffigurati. E il ginocchio era troppo a punta, e il pacco troppo piccolo, e la veste troppo sgargiante, e il naso troppo giudeo, e via rampognando. Ma Apelle, anche se era intelligente era tronfio, e colse al balzo l'occasione per vincere la bella sull'impiastro importuno. Con la calma serafica dei giusti difatti squadrò l'artigiano e sentenziò: "Sutor, ne ultra crepidas.", che suona più o meno così: "Ciabattino, non andare oltre il sandalo.", cio a dire che non dovrebbe preoccuparsi di cose che non gli competono il primo bischero che passa, e invece sòn tutti lì a cercare di dire la loro sul nostro.
Per giunta, incappando in topiche colossali delle quali neppure si rendono conto.
Ma è inutile arrabbiarsi: basta fare come Apelle, e ricordare ai ciabattini di occuparsi di pantofole, che noi qui siamo a lavorare sul serio, mica e tener a bada tutti i cretini che hanno voglia di aprir bocca e dargli aria.
E' capitato anche a me, non era la prima volta e non sarà l'ultima. Non me ne cruccio: so di essere in buona compagnia se è vero com'è vero che anche il patriarca di Ferney una volta disse che la sciagura più grande che capita di solito ai letterati non è quella di essere invidiato dagl'inetti, vittima di intrighi o odiato dai potenti, ma quella di essere giudicato dagl'imbecilli.