venerdì 17 febbraio 2012

A clockwork blue


"Oggi sono giù e depresso/
ci vorrebbe un po' di roba."

Vanitas vanitatum et omnia vanitas, il Qoelet, l'Ecclesiaste, se letto col giusto senno laico, è uno dei libri più belli che siano stati scritti con l'intento riprovevole di edificare l'uomo sulla via di Damasco. Tutto è vano, tutto è vanità. Stasera mi sento così, c'è poco da fare, dev'essere il lato peggiore della sindrome maniaco depressiva, oppure è solo un po' di sana malinconia.
Ti affacci alla finestra sorseggiando un pessimo caffè, una lieve perturbazione nell'aria, un alito di vento tiepido e il sole che fa finta di scaldare. Fuori, qualche bocciolo di tarassaco e piccole api coraggiose che cadono stremate di fronte ai primi timidi fiorellini.
Mi vengono a mente le belle api d'oro ricamate sui mantelli dei merovingi, quelle trecento api che verranno donate dall'Imperatore Sacro e Romano a quel cialtrone di Luigi XIV, il Re Cristianissimo che per eccesso di umiltà si faceva chiamare Re Sole, il pallone gonfiato che cacciò il Prinz Eugen von Savoien dalla sua corte perchè aveva osato guardarlo dritto negli occhi (salvo poi mangiarsi le mani fino alle regali nocche anni dopo, quando il sommenzionato finocchissimo Eugenio travolse i Turchi a Zenta al soldo degli odiati Austriaci), discendente dei viziati d'oltralpe che permisero ai peggiori ceffi barbareschi di far base nella bella Provenza, per saccheggiare le coste d'Italia. Così, per spregio.
Chissà perchè poi mi vengono a mente certe cose.
Mi viene anche a mente che dev'essere stato in una giornata fasulla e vigliacca come questa che è stata decisa l'invasione della Polonia o che i Beatles hanno deciso di sciogliersi. Ci sono sempre giornate che si fanno belle per nascondere il carico di merda che portano.
Ma mentre accompagno il cane a pisciare, schivando tra i vapori del sonno e la luce del primo sole un tir che mi viene incontro come un elefante del Barca, mi sovviene il perchè di tutti questi miei ricorrenti pensieri storici.
Sono come Cidrolin, che sognava d'essere il Duce D'Auge, che sognava d'essere Cidrolin.
Poco importa se è perchè aveva ragione Dawkins e la memoria storica si tramanda nei geni o è perchè sono un po' rincoglionito. Il risultato non varia.
E mentre il cane piscia allegro e annusa ogni filo d'erba, testando la mia pazienza, mi rendo conto che le decisioni di persone più influenti di me sono state prese in contesti simili.
Imperatori, Re, Satrapi e Tiranni hanno deciso esecuzioni, invasioni, soppressioni e rivoluzioni mentre guardavano insonnoliti il proprio cane che pisciava, o mentre cacciavano col falcone, o mentre stavano seduti su di una sedia stercoraria, spremendo il colon per liberarlo dalle troppe portate di majale con le mele.
Come disse Onoff, non bisognerebbe mai conoscere i propri idoli: si potrebbe scoprire che i versi che ci hanno fatto tanto sognare li hanno scritti sul vaso, aspettando una bella scarica di diarrea.
E allora Cidrolin pensa d'essere Auge ed è normale.
Cidrolin è un perdente, non combina nulla, non gliene va bene mezza, è -come si dice qui- come i cucchiai. Non ne infila una. Si disprezza in segreto, perchè farlo apertamente sarebbe troppo facile e paraculo. Il suo è un disprezzo vero e sentito, carico di colpa. Ma piace a tutti, tutti gli vogliono bene, è saggio, buono e intelligente, si fa gli affari suoi... è l'amico che tutti vorremmo, a parte lui. Cidrolin, come Groucho Marx, non vorrebbe far mai parte di un club che contasse tra i suoi soci uno come lui. Strana la vita.
In ultima analisi, fa parte di quella schiera che nel terzo millennio definiamo magnifici perdenti. Gli eterni "esimi", neppure secondi, quelli pieni di belle qualità inespresse e tristi senza motivo. Quelli che ce l'hanno quasi fatta. Attenzione, non sto parlando dei mediocri. I mediocri, chiariamolo una volta per tutte, sono le persone senza qualità, quelle di cui non trovate di meglio che dire "è una brava persona". Quelli fatti e messi lì. Sono persone che di solito hanno un'influenza pressochè nulla nella nostra vita, si sentono più intelligenti del prossimo e pontificano senza sosta pur se hanno lo stesso QI di una pirofila. Individui di tale schiatta io li nomino "superflui" e li catalogo sotto la voce "carne da cannone".
Ai tempi di Luigi XIV sarebbe stato facile liberarsene senza troppi problemi, ma tant'è.
Tornando a noi, il savio triste, il meraviglioso perdente, è persona piena di intelligenza, senso dell'humor e autocritica, sarcastica, vitale, intraprendente, sfortunata e solitaria. Fanno parte di questa categoria Cirano de Bergerac, Cervantes e il suo Don Quijote, Paperino, il Calais FC finalista della coppa di Francia, tutti i personaggi di Sartre e un'infinità di persone sconosciute perchè non assunte all'onore degli altari.
Più celebri sono invece le loro controparti che hanno avuto fortuna. I vari Duchi D'Auge. Ovvero: quelle persone che, pur al vertice del successo, inteso come affermazione sociale (e non di sè), si sentono tristi e inadeguati. Hemingway, Diocleziano, il battaglione di cantanti morti a 27 anni, il povero Itle, Napoleone e Frodo Baggins.
Tutti loro hanno assaggiato il potere e il successo e l'hanno trovato indigesto. Sic transit, erano tutti dei Duchi D'Auge che sognavan d'essere Cidrolin. In un gioco di specchi in cui un'immagine screziata ne rimanda un'altra opposta ma uguale, uguale il disagio, stessa la tristezza, che non è meno giustificata -se vogliamo- dall'aver più soldi o più potere. Ci sono mediocri che -una volta raggiunta la gloria- se ne pascono e vivono alla grande. Esseri ai quali poco basta: qualche soldo in tasca, l'euforia del comando, la possibilità di pagare qualche puttanone e di telefonare in questura per dire che è la nipote di Mubarak (liberare immantinente), l'ebbrezza di poter licenziare un sottoposto. In breve: la mera soddisfazione delle pulsioni più triviali.
C'è tutta una categoria di persone che basa la propria vita, i propri affetti, su questa scorta: soddisfare i bisogni più immediati e terreni.
Divertirsi.
L'ho fatto perchè mi andava.
La vita è una sola.
Ogni lasciata è persa.
E amenità simili. Spesso persone simili amano circondarsi di persone "divertenti", perchè gli altri rimandano loro, come deformato da uno specchio degli orrori, il loro animo meschino e le loro bassezze. Meglio essere in compagnia di coglioni superficialotti ed economici. Se il successo arriverà (e spesso arriva, perchè a questo genere di persone di solito le cose vanno bene, dato che non calcolono MAI le conseguenze delle loro azioni) bene, se non arriverà pazienza, non se ne accorgeranno mai, persi nella loro sciatteria, e crederanno anche di aver avuto una bella vita, spirando in pace.
Mi manda in bestia.
Sul serio.
Mi viene voglia di vederli morire insoddisfatti, di vedere sul loro volto agonizzante il rimorso, di leggervi il rimpianto. Ma probabilmente sono i geni che parlano, i miei avi -che disprezzano la carne da cannone- che sgomitano nei recessi del DNA, oppure è tutta invidia, chissà.
Resta il fatto che mentre il cane annusa le pisciate degli altri cani, attività evidentemente basilare per la sua struttura mentale e per la definizione di un "sè" canino coeso ed equilibrato, mi trovo a pensare a Carlo V.
Un uomo che tenne in pugno l'intera europa, governando per anni su di un Impero su cui, si dice, non tramontava mai il sole. Da Vienna alle Fiandre, da Milano alla Spagna, con le sue colonie nel Nuovo Mondo. Un'autorità amata e rispettata, temuta come un blitzkrieg della finanza. Un generale che umiliò i propri nemici, trascinandoli in catene e nella polvere. Un monarca assoluto come ne esistevano nel sedicesimo secolo. Ma, in definitiva, un uomo tanto triste da esser chiamato dai sui contemporanei "L'Imperatore senza sorriso".
E così si spense il vecchio Romanissimo Imperatore, che abdicò al trono a 56 anni, per ritirarsi nella sua Spagna a riparare orologi, in compagnia di un italiano che, per sollevargli il morale, costruiva per lui i più begli automi meccanici che siano mai stati fatti. Giocattoli a molla, fontane d'acqua, piccole dame che danzavano e suonavano. Tutto inutile, l'Imperatore non rideva mai e passava il tempo coi suoi amati orologi, smontandoli e rimontandoli come un artigiano da due lire, cercando in tutti i modi di farli andare con lo stesso passo, di far segnare ad almeno due di loro la stessa ora.
Macchè. Niente da fare.
Finchè sbottò, in lacrime, di fronte alla vanità delle opere umane. "Non riesco a far segnare la stessa ora a due dei miei orologi" -disse- "Come potevano pretendere che facessi andar d'accordo migliaia di persone?"
L'umanità di questo lamento mi risuona nelle orecchie da 500 anni, con la sua rassegnazione, il suo carico di umile disperazone, di senso di inadeguatezza.
Difficile, mi dico, far andare due orologi in sincrono. Molto difficile.
E mentre finalmente il cane ha deciso che vuol tornare a dormire davanti alla stufa, mi dico che l'umanità non si divide in persone potenti e misere, ricche e povere, tristi o allegre, belle o brutte. Ma in persone che cercano di far funzionare gli orologi e in persone che se ne fregano. Tutto il resto è fuffa.

venerdì 3 febbraio 2012

Timeo Danaos et dona ferentes...


"Aut haec in nostros fabricata est machina muros
Inspectura domos venturaque desuper urbi,
Aut aliquis latet error: equo ne credite, Teucri.
Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentes."

Che tradotto dal bel latino di Virgilio suona più o meno così: "Questo trabiccolo che avete fatto entrare in città mi pare fatto apposta per spiare le nostre case, cari i miei concittadini boccaloni. Da parte mia, non mi sono mai fidato dei greci, che fino a ieri parevano volerci sbudellare tutti, e oggi mi pare ancora più strano che ci lascino un bel regalino disinteressato. Poi fate voi, ma io per sicurezza gli darei fuoco."
Quelli di voi che hanno un minimo di dimestichezza con la lingua di Cesare si saranno accorti che la traduzione che ho testè compiuto non è letterale. Ma quelli di voi che hanno dimestichezza con la lingua di Cesare saranno si e no un pajo, se va bene, quindi andiamo oltre. Come si evince dal testo, il buon Laocoonte era abbastanza preoccupato, e a buona ragione. Chiunque abbia letto l'Eneide non avrà potuto che scuotere la testa di fronte all'imbecille ottusità dei troiani, che fanno entrare di loro spontanea iniziativa lo strumento della loro rovina all'interno delle mura, fidandosi come babbèi dei propri nemici. E -come capita sempre ai profeti di sventura, che purtroppo hanno ragione nella maggior parte dei casi- al povero Laocoonte è riservata la fine che il gruppo marmoreo riprodotto nella sovrastante fotografia ci suggerisce: gli dèi lo puniscono per aver osato smascherare i loro astuti piani, inviando due enormi serpenti marini a strangolare lui e i di lui figli, mentre il volgo ottuso prende la sua tragica fine come un segno di malafede, e ne liquida la memoria come quella di un paranoico che vede trame nefaste e intrighi maligni in ogni cosa.
Ergo: il cavallo si tiene, e si fa anche bisboccia fino a tardi, alla faccia di quel buzzurro di Laocoonte. Sappiamo tutti come andò a finire: i greci uscirono dal ventre del cavallo, aprirono le porte al resto dell'esercito, e una volta dentro passarono a fil di lama tutti i troiani, ancora ebbri di vino e sonno.
Alla luce dei fatti risulta difficile provare pietà per i troiani, che in questo particolare frangente dimostrano una superficialità che sfocia quasi nell'imbecillità di massa, condita da una supponenza e da una sicumera francamente detestabili. Al confronto, ci sentiamo molto più vicini, quasi simpatetici al comportamento dei greci, che pur essendo vili calcolatori infidi e bugiardi, lavorano per un loro preciso intento con dedizione e precisione, approfittando dell'altrui sciatteria e rischiando in prima persona le conseguenze del loro gesto. Cosa sarebbe successo infatti se i troiani fossero stati un tantino più diffidenti e avessero deciso, così tanto per dirne una, di bruciare il cavallo al di fuori delle mura? Una fine ben poco nobile per i valorosi Achei, intrappolati come topi nel ventre rovente della bestia lignea, ma una fine anche un po' più in linea con quello che si sarebbero meritato.
Infatti, se proprio devo essere sincero, in questa diatriba, se vogliamo chiamarla così, con un eufemismo, tra greci e troiani io non mi sento di parteggiare nè per gli uni nè per gli altri, essendo gli uni troppo sciocchi e causa della loro stessa rovina ed essendo gli altri vili e spietati. No, io parteggio per l'unica persona assennata in questa storia. Parteggio per Laocoonte, per l'unico che non si fidava.
Timeo danaos, et dona ferentes... Anch'io, come lui, non mi fido dei greci, anche e specialmente se portano doni.
Ecco, questo nella società odierna è considerato un difetto. Dico di più, un terribile difetto, quasi una colpa sociale. Non ti fidi del prossimo? Questo perchè sei una persona cattiva, maligna e manipolatrice. Se non ti fidi come fai a vivere?
La società moderna è fatta di troiani, che evidentemente non sono periti tutti, infatti come ci racconta Virgilio proprio dai troiani ha avuto origine la nostra civiltà. E si vede.
In questa nuova colonia neo-troiana -va da sè- ci sono anche diversi greci. Ormai sono mescolati a noi, non assediano più la città con torri e baliste. Siamo tutti un po' troiani e un po' greci, a seconda dei casi. Bei tempi quando potevi vedere il tuo nemico di fronte a te, quando potevi guardarlo negli occhi. I tempi della cavalleria e del rispetto sono morti con il cavallo di troia, con il sotterfugio, con l'astuzia. Ulisse è l'antesignano di tutti i ladri e truffatori del mondo, colui che ha tracciato il solco lungo il quale l'aratro della malafede si è mosso nei secoli. Oggi giustifichiamo questi individui dicendo: "Che male c'è, portano l'acqua al loro mulino".
Questo lo diciamo finchè l'acqua che portano non viene dal nostro pozzo, salvo poi cascare dalle nuvole quando il furbo di turno, per portare l'acqua dove sappiamo, ha pestato i nostri piedi. E allora sono gli altri che ci dicono: dovevi farti furbo. Gli stessi altri che fino a due secondi prima ti dicevano che dovevi fidarti. Sarà che alla fine la sfiducia non è che faccia vivere meglio. Consuma un sacco di energie, inacidisce gli animi, rovina le relazioni. Ma a guardar bene, le energie si consumano per tante cose anche più inutili, gli animi si inacidiscono anche di più quando subiamo un torto da colui che era degno della nostra fiducia e le relazioni si rovinano da sè anche senza gelosie e sfiducie.
Allora?
La diffidenza non farà vivere bene ma fa sopravvivere, questo sì. Come rispose Ditocorto a chi gli disse che certe cose è meglio non saperle: "Al contrario, è proprio quello che non sai che di solito ti uccide".
Parafrasando e generalizzando: io non ho mai visto un animale che si fida. I cani si annusano con circospezione, le bestie selvatiche sfuggono alla vista dell'uomo o lo aggrediscono, se sono particolarmente aggressive e violente. In natura non esiste un concetto come quello di fiducia, esiste solo quello di competizione. Alcuni animali più raffinati hanno sviluppato uno stile di vita che potremmo definire sociale, d'accordo, ma possiamo davvero dire che un cane della prateria si "fida" della sentinella? O possiamo dire più prosaicamente che in questo caso sia la sentinella che i raccoglitori di cibo traggono beneficio dai loro rispettivi comportamenti?
Do ut des, non si fa mai nulla per nulla.
A complicare il tutto nell'umano consesso ci si è messo il linguaggio, e con questo abbiamo inventato la cosa peggiore della storia dell'umanità.
La menzogna.
Peggio della bomba atomica o del virus ebola, peggio delle armi da fuoco e dello strozzinaggio, peggio di tutto.
La menzogna ferisce più della spada, questo volevano dire: non è la penna, è l'uso sbagliato che si fa della penna.
Tutti mentono. Tutti noi lo facciamo. Tutti noi lo abbiamo fatto almeno una volta. Mentiamo continuamente. A volte in maniera ingenua, dicendo ad un amico che lo troviamo bene, mentre in realtà è ingrassato come un orco ripugnante, oppure asserendo che un certo film ci piace o non ci piace giusto per attirare la simpatia di qualche pulzella; altre volte in maniera più meschina per perseguire obbiettivi personali a danno del prossimo.
La menzogna è egoista, la menzogna è al servizio dell'Id. Al servizio delle nostre più recondite pulsioni, delle nostre aspettative, dei nostri desideri, e noi la utilizziamo con disinvoltura, senza neppure sentirci in colpa.
C'è chi mente sulla situazione finanziaria, chi si spaccia per dottore e non lo è, chi nasconde al partner tradimenti occasionali o meno. Tutti questi individui hanno una cosa in comune: se scoperti negheranno, diventeranno aggressivi e vi faranno sentire un verme malfidato. Invocheranno per voi la fine di Laocoonte, e se ne andranno a letto soddisfatti. Perchè il loro Es è appagato, e tanto basta. Certo, nella società post-troiana la menzogna è considerata ufficialmente riprovevole. Un vero e proprio peccato capitale. Ciò nonostante tutti noi continuiamo allegramente a mentire, salvo poi richiedere che ci venga detta la verità.
E qui mi muovo verso la conclusione.
C'è chi dice che per fidarsi degli altri bisogna sempre dire e sentirsi dire la verità. Che la verità sta alla base della fiducia.
Baggianate.
Fiducia e menzogna, fiducia e verità, non c'entrano nulla l'una con l'altra, se non per un mero legame semantico.
Ma per farvela breve vi farò un esempio.
Voi vi fidereste di un partner che vi tradisce ogni sabato, con la regolarità di un metronomo, ma che ogni domenica ammette le proprie colpe?
Vi fidereste di un politico che ammette candidamente di aver rubato?
Sono convinto che molti di voi hanno dato la risposta sbagliata. Perchè la risposta giusta è: sì. E senza condizionale. Voi già lo fate. Vi fidate ogni giorno di persone che mentono o che potrebbero farlo: la fiducia non ha niente a che fare con la menzogna, ha a che fare con la possibilità umana di mentire. Ovvero: la fiducia è la negazione a priori di tale eventualità. Che possano esistere coniugi fedifraghi, politici bugiardi, truffatori e briganti dalla lingua sottile, non smuove di una virgola la nostra apparente necessità di fidarsi del prossimo. E il bello è che tutti noi sappiamo che gli altri mentono.
Io lo trovo fantastico. Davvero.
Una società fondata sull'omertà.
Lo facciamo tutti e nessuno lo vuole e lo deve ammettere. Per questo chi infrange la regola non scritta del "non chiedere, non dire" viene bollato come paranoico. Perchè svela agli altri la loro meschinità. Non si scoprono gli altarini, non si deve far sentire la gente per quello che è: una manica di arroganti viziati ed egocentrici, sempre tesi a soddisfare le proprie voglie e i propri desideri in barba al prossimo e a chi è.
A me va benissimo, mi adeguerò. Mi piacerebbe che la gente quantomeno lo ammettesse, ma forse chiedo troppo.
In effetti mi sono già adeguato: nel riconoscere chi mente purtroppo sono più bravo della maggior parte di voi. Quindi non ho bisogno di "fidarmi" o meno: lo vedo con i miei occhi se chi ho davanti è onesto o è un bugiardo, la fiducia è un concetto sopravvalutato e astratto che lascio volentieri agli uomini di chiesa, affinchè lo usino per spiegare il loro Dio uno e trino, e ai troiani che così vogliono chiamare la loro stupidità.
In ultima analisi, infatti, di cosa stiamo parlando? Cos'è la fiducia, se non un accettare a priori la veridicità di un'ipotesi? Logicamente non ha senso. La fiducia non esiste, è innaturale e dannosa, e anche scientificamente inesatta. Ma la buona notizia è che non ne abbiamo bisogno: possiamo vivere senza di essa e senza la sua controparte ugualmente dannosa, quella diffidenza esagerata e ottusa che ci porta a dubitare anche di chi ci vuole davvero bene, rovinandoci il fegato. Basta iniziare a comunicare, a comunicare sul serio. Imparare a riconoscere quando gli altri stanno cercando di buggerarci e non farsi intimorire dagli atteggiamenti passivo-aggressivi dei malvessatori smascherati. Un po' come dire: ascoltiamo meno con le orecchie e più con gli altri sensi. Usiamo il buonsenso e facciamo affidamento al nostro istinto, ben consapevoli che gli errori di valutazione sono sempre dietro l'angolo, ma da qui ad eleggere un brigante matricolato alla presidenza del consiglio (evento puramente ipotetico, lo dico a scanso di equivoci e senza pensare a fatti o persone reali, ci mancherebbe) ci corre come tra il culo e le quaranta ore.
E già che ci siete, tenetevi anche lontani dai serpenti e dai cavalli di legno.
Si sa mai... meglio non fidarsi.